Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/307

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che tu possa ignorarli. Or, poi che i giovani
figli del vecchio Edípo, ebber le membra
cinte dal bronzo, mossero allo scontro,
uomo contro uomo, in mezzo della lizza.
E, volto il guardo verso Argo, tal prece
Poliníce levò: «Dea veneranda
Era — ch’io sono or tuo, poiché la figlia
sposai d’Adrasto, e n’abito la terra —
fa’ tu che uccida mio fratello, e insanguini
l’ostile mia vittorïosa destra,
e ottenga un tal serto esecrando, uccidere
il mio germano». E molti lagrimavano,
pensando alla lor sorte, e rivolgevano
l’un verso l’altro la pupilla. — Etèocle,
poi, di Pàllade al tempio il guardo volse,
e cosí la pregò: «Figlia di Giove,
fa’ tu che l’asta mia vittoriosa,
da questa man, da questo braccio io vibri
al mio fratello in seno, e l’uomo uccida
che la mia patria a saccheggiar qui venne».
E come poi lanciato fu lo squillo
della tromba tirrena23, e un fuoco parve,
segno del sanguinoso urto, proruppero,
con terribile slancio, uno su l’altro.
E cozzarono come apri che arrotano
le selvatiche zanne, e aveano madide
le mascelle di bava. E pria si urtarono
con le lance; però si rimpiattavano
sotto i rotondi scudi; onde le cuspidi
scivolavano indarno. E dove l’uno
sporger vedesse del nemico il viso
sopra lo scudo, per colpirlo al viso