Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/32

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MEDEA 29

Se dicessi che sciocchi, che in nulla
sapïenti fûr gli uomini antichi,
non diresti menzogna: ché cantici
per conviti, per feste e per cene
ritrovâr, pei sonori sollazzi
della vita; e nessuno trovò
come i tristi cordogli degli uomini
con la musa e i multísoni canti
mitigare potesse; e di qui,
stragi e orrende sventure devastano
le magioni. Eppur, questo sarebbe
gran vantaggio, i mortali coi cantici
risanare. Ma dove son lauti
banchetti, levare le voci
perché, se il piacer della mensa
procura, nell’ora fuggevole,
da sé stesso, delizia ai mortali?

coro

Epodo
Udii di flebili gemiti il grido.
Con urli acuti, penosi, i triboli
geme, e al suo talamo lo sposo infido;
e, soverchiata, s’appella a Tèmide,
ch’è, presso a Giove, vindice ai giuri.
Essa, alle opposte spiagge de l’Ellade,
lei, per lo stretto del mare impervio,
spinse, sui tramiti del mare oscuri.