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scorrevano. Guardarla, era un orrore;
e la salma toccar, tutti temevano:
ch’era stato l’evento a noi maestro.
Ma della sorte ignaro, il padre misero,
nella stanza improvviso irruppe; e súbito
leva un ululo, e piomba sul cadavere,
la salma abbraccia, la bacia, le volge
la parola cosí: «Figlia infelice,
quale dei Numi a cosí sconcia fine
t’addusse? Orbo di te, chi questo vecchio,
presso alla tomba rese? Ahimè, con te,
figlia mia, fossi morto!». E quando poi
dalle querele desisté, dai gemiti,
il vecchio volle sollevarsi; e stretto
ai fini pepli si sentí, com’ellera
a cespiti d’alloro. E cominciò
un’orribile lotta: egli il ginocchio
sollevare volea; ma lo stringeva
a sé la salma; e se traeva a forza,
la vecchia carne dall’ossa strappava.
Si spense infine, l’anima esalò,
ché piú non resse alla crudel tortura.
Or, la figliuola e il vecchio padre giacciono
spenti vicini, dolce esca alle lagrime.
Dei casi tuoi, parola dir non voglio:
il mal, su chi lo fa, lo sai, ricade.
Le cose umane, poi, non è la prima
volta ch’ombre le stimo, e non mi pèrito
d’affermare che quei che saggi e acuti
di parole maestri esser presumono,
affetti da follia son piú degli altri:
ché felice non è verun degli uomini.