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dell’amplesso e del letto. Oh, niuna tanto
osato avrebbe delle donne ellène
da me neglette, che te scelsi a sposa,
te mia nemica, te rovina mia,
leonessa e non donna, e ch’hai natura
selvaggia piú della tirrena Scilla.
Ma morderti che val con mille e mille
oltraggi? È troppa l’impudenza tua.
Alla malora va’, di turpitudini
operatrice, assassina dei figli!
A me non resta che gemer la sorte
mia: ché fruir delle novelle nozze
non potrò, non potrò parlare ai figli
che generai, nutrii, ma li ho perduti.

medea

Alle parole tue lunga risposta
rivolta avrei, se non sapesse Giove
ciò che avesti da me, ciò che mi desti.
Ma non dovevi tu, poi che il mio talamo
vituperasti, gaiamente vivere,
ridendoti di me, né la regina;
né quei che a nozze t’istigò, Creonte,
a scorno via da questo suol bandirmi.
Come or ti piace, leonessa o Scilla
del tirren piano abitatrice chiamami:
il tuo cuor lanïai, com’era giusto.

giasone

Te stessa strazi, e il male mio partecipi.