Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/177

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174 EURIPIDE

ercole
Dove il delirio mi colpí, mi strusse?
anfitrione
Quando la man purificavi all’ara.
ercole
Ahimè, perché la vita mia risparmio,
poi che fatto sono io dei dilettissimi
figli miei l’assassino, e giú dal salto
d’un’erta rupe non mi gitto, o il fegato
mio non trafiggo con l’aguzzo ferro,
per espiar dei figli miei la morte?
O per fuggire all’onta che m’aspetta,
sovra una pira il mio corpo arderò?
Alza gli occhi, e li fissa verso un punto lontano.
Ecco, a impedire i miei divisamenti
di morte, qui Tesèo giunge, l’amico,
il mio parente: ei mi vedrà: lo scempio
del parricidio agli occhi apparirà
del piú diletto amico. Ahi, che farò?
Dove restar coi mali miei soletto
potrò, fuggendo a volo, o inabissandomi
sotto la terra? Oh!, buio, almen, circondi
la fronte mia: troppa onta mi rimorde
pei delitti commessi; e, poi che tanta
macchia di sangue sopra me s’è sparsa,
niun innocente vo’ ch’essa contamini.