Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/200

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al desiderio onde si perpetua la stirpe, dall’altro sublima gli animi a idee nobili e immateriali, e fa intravvedere un mondo soprannaturale e ideale. E i vili meccanici, che nen vogliono vedere altro se non lo stimolo erotico, fanno come chi concepisse il fiore in funzione del fimo, e non il fimo in funzione del fiore.

Se non che, questa creatura, mentre talora, da un lato, sviluppandosi lungo la linea normale d’ascensione etica dell’umanità, giunge a vertici di sacrificio, di purezza, d’eroismo, a cui l’uomo difficilmente perviene (e ce ne sono esempii in Euripide: Alcesti, Ifigenia, Macaria); altre volte, per eccesso di lussuria e di efferatezza, sembra discender piú basso degli uomini, e tornare al piú atroce stato ferino.

Ma anche lo spettacolo dei mostri femminili è piú interessante che non quello della mostruosità maschile. Nelle donne peccatrici e delinquenti appaiono quasi sempre congiunti, in modo indissolubile, il delitto e l’amore, la furia dello sterminio e quella della creazione. Il pensiero di noi d’oggi corre subito alle magiche scoperte del Fabre sulla vita degli insetti; dove, operando l’istinto vitale nella maniera piú pura e originaria, si vede come siano strettamente congiunte, e quasi in dipendenza l’una dall’altra, le forze della distruzione e quelle della generazione. Tale istinto si maschera via via nelle creature superiori, ma non si spenge mai interamente in nessuna, e sia pure la piú elevata. Nelle grandi peccatrici lo vediamo smascherarsi ed operare sotto i nostri occhi; e rimaniamo affascinati, perché insieme con l’orrore si mescola nella nostra anima la soddisfazione di scorgere traverso ad un lembo lacerato, la verità; e sia pure orrenda. Questo sentiamo noi: questo sentiva, e sia pure con meno chiara coscienza, l’ateniese Euripide: questo era uno dei lati — l’essenziale, credo — della sua presunta misoginia.