appresi, ed agli Atrídi ubbidirò,
quando leciti siano i lor comandi;
e quando turpi, disubbidirò;
serbando intatta l’indole mia libera,
in Troia il mio valor farò palese.
O donna, che patisci acerbi danni
dai tuoi piú cari, io te, per quanto un uomo
giovane possa, di pietà cingendoti,
consolare saprò. Non mai la figlia
tua, già promessa a me, sarà sgozzata
dal padre suo. Non mai concederò
la mia persona, che serva al tuo sposo
per tendere lacciuoli: il nome mio,
sebbene ferro mai non abbia stretto,
ucciderebbe la tua figlia: piú
non sarebbe il mio nome immacolato,
se per me, per le mie nozze, morisse
questa fanciulla, che patisce pene
orride, insopportabili, che vittima
procombe di soprusi indegni e nuovi.
Fra gli Argivi sarei tutti il piú tristo,
un uom sarei da nulla, e Menelao
fra gli eroi conterebbe, e non di Pèleo
figlio sarei, ma d’un malvagio dèmone,
se, del tuo sposo in cambio, il nome mio
divenisse assassino. Oh, per Nerèo
che fra gli umidi gorghi ebbe la vita,
che vita diede alla mia madre Tètide,
Agamènnone re la figlia tua
non toccherà, neppur le somme dita
alle sue vesti avvicinar potrà.
O Sípilo, se no, donde proviene
d’Atrèo la stirpe, ed è rocca di barbari,