mille e mille guerrieri guidando,
o stirpe dei celebri Atridi?
ifigenia
Ahi, mie ministre,
con che gemiti amari mi lagno,
con che nenie di canto inarmonico,
senza lira, ahimè, ahi, con che lagni
luttuosi, da quali sciagure
sono oppressa! Ché piango perduta
del fratello la vita: sí tristi
m’inviava parvenze la notte,
la cui tènebra or ora si sperse.
Son perduta, perduta. Del padre
piú non sono le case: finita
è, ahimè!, la progenie.
Ahimè d’Argo sventure sventure!
Ahimè demone ahimè, che mi rubi
il fratello che solo restava,
lo inviasti nell’Ade! Per lui
a cospargere il dorso m’accingo
della terra con questi libami,
con questi crateri dei morti,
questi fonti d’alpestri giovenche,
umore di bacchiche viti,
travagli di fulgide pecchie,
che placano il cuore ai defunti.
Si rivolge ad un’ancella.
Il calice d’oro, i libami
dell’Ade or tu porgimi.
Compie il rito di offerta.
O germoglio che giaci sotterra
d’Agamènnone, come a defunto
Euripide - Tragedie, IV - 15
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