Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) IV.djvu/239

Da Wikisource.
236 EURIPIDE

E molti baci in serbo avevo posti,
ché in Argo ritornar presto credevo.
Misero Oreste, e tu, privo di quanti
beni paterni invidïati sei,
se pur sei morto! — Ed io l’incongruenza
biasimo della Dea: ché un uomo ch’abbia
un misfatto compiuto, od un cadavere
con la mano sfiorato, una puerpera,
li esclude dagli altar’, poiché li giudica
contaminati: ed essa, poi, s’allegra
di sacrifici umani. Oh, che Latona
sposa di Giove, abbia dato alla luce
tanta stoltezza, esser non può. Del pari
fede non presto a Tàntalo, che ai Numi
in pasto offrí del figlio suo la carne.
Ma le genti di qui penso, che, scudo
omicide esse stesse, alla Dea vollero
attribuire il vizio lor. Ché tristo
non è, per quanto io penso, alcun dei Dèmoni.