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Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) IV.djvu/312

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IFIGENIA IN TAURIDE 309

finché rimase nel porto, filò.
Ma quando stava per varcar l’ingresso,
la spinse indietro impetuoso un flutto:
ché d’improvviso una brezza gagliarda
spinse la nave con la poppa indietro.
Gagliardamente percoteano i flutti
quelli; ma verso terra i cavalloni
spingevano la nave. Ed in pie’ surta,
la figlia d’Agamènnone, pregò:
«O figlia di Latòna, or salva in Eliade
da questa terra barbara conduci
la tua ministra, e il furto mio perdona.
Il tuo fratello, o Diva, ami anche tu:
che i miei parenti anche io diliga è giusto». —
Della fanciulla alla preghiera, fecero
eco i nocchieri col peana; e a un ordine,
via gittati i mantelli, s’affannavano
alla vogata; ma la nave a terra
piú e piú s’appressava. Ed un dei nostri
già balzato nell’onde era, ed un altro
nodi scorsoi lanciava. Io corsi súbito
a te, per dirti i nuovi eventi, o Sire.
Lacci e catene, su via, prendi, e corri:
ché se su l’onde non si placa il vento,
modo non c’è che gli stranieri fuggano.
Il Signore del ponto, il Dio Posídone,
Ilio protesse, ed aborre i Pelòpidi,
e a te ben presto il figlio d’Agamènnone
e ai cittadini in man darà, darà
la sua sorella, che lo scempio d’Aulide
dimenticò, tradí la nostra Dea.