Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/220

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ORESTE 217

nel pericolo fosti, e modo ancora
trovi che dei nemici ora io mi vendichi,
e lungi non mi sei. Ma non ti voglio
lodar piú oltre: ché fastidio arreca
anche l’eccesso delle lodi. Ora io,
sul punto d’esalar l’anima, intendo
ad ogni modo qualche danno infliggere
ai miei nemici, e poi morire: voglio
in rovina mandar chi mi tradí.
Chi m’ha ridotto a tal miseria, pianga.
D’Agamènnone io son figlio, che duce
fu de l’Ellade: eletto, e non tiranno,
ma tuttavia d’un Nume ebbe il potere.
Né io vergogna a lui farò, morendo
come uno schiavo, no: liberamente
la vita lascerò, di Menelao
farò vendetta. Fortunati troppo
saremmo poi, se d’esser salvi un modo
inopinato, qual pur sia, trovassimo.
Ne faccio augurio: è ciò che dico tanto
soave, che il sol dirlo impunemente,
con volanti parole, il cuore allegra.

elettra

Fratello mio, d’avere un modo io penso,
che te, che lui, che me per terza, salvi.

oreste

D’un consiglio divin parli: e qual’è?
Io so che senno alberga nel tuo spirito.