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6 EURIPIDE


Questa esitanza, questo perpetuo volere e non volere, rientrano perfettamente nel quadro della psicologia umana. Un critico moderno, il Parmentier, ha definito Elettra una impulsiva, e ha detto bene. E di fronte alla Elettra di Eschilo, e, quasi piú, a quella di Sofocle, le cui prime parole, quando vede Oreste con le mani intrise del sangue materno, sono: «Morta è l’indegna?», questa Elettra sembra piú umana, e, se volete, piú simpatica.

Ma infinitamente meno tragica. E nessun dubbio che femmine impulsive dovettero esistere anche ai tempi di Euripide e d’Elettra, e che il poeta, ispirandosi, per foggiare la sua eroina, ad un tipo studiato dal vero, fece opera sostanzialmente legittima. Ma nelle ineliminabili angustie della realizzazione scenica, queste contraddizioni della impulsività, troppo crude e messe troppo a contatto, si risolvono in una disuguaglianza ed una irrequietudine che nuoce alla illusione, e, in ultima analisi, all’opera d’arte.

E altrettanto bisogna dire per Clitemnestra. Essa non è piú la terribile viragine d’Eschilo, che, saputa la morte di Egisto, chiede una scure, pronta a cimentarsi, e se occorra, ad uccidere il figlio, come già uccise il padre, e che avanti a tutto il popolo d’Argo ostenta il suo adulterio, e quasi le turpi voluttà del suo talamo peccaminoso. E neppure la feroce spudorata di Sofocle, che gareggia di contumelie con la figlia, e la chiama svergognata e mostro, e le lancia odiose minacce:

Scontar dovrai, lo giuro per Artèmide,
tanta insolenza, come Egisto giunga.

Invece la Clitemnestra di Euripide si vergogna di farsi vedere in pubblico con Egisto. E appena sente che sua figlia è fresca di parto, accorre, e mostra pietà del suo stato; e ai suoi rimproveri risponde ragionando punto per punto; e alla