Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/120

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ELENA 117

mi trasportava: ché non fu di me
Giove oblioso; e mi condusse in questa
casa di Pròteo, ché su tutti gli uomini
io credea costumato, affinché puro
di Menelao serbar potessi il talamo.
Ed io qui sono; ed il mio sposo misero,
radunato un esercito, sbarcò,
per vendicare il ratto mio, di Troia
sotto le torri; e molte alme d’eroi
per me sui rivi di Scamandro caddero.
E maledetta io son, ché la piú misera
sono, e par che lo sposo abbia tradito,
che accesa una gran guerra abbia per gli Èlleni.
Dunque, a che vivo? Udii dal Nume Ermète,
questo presagio: che di Sparta il celebre
suol col mio sposo ancora abiterei,
e ch’ei saprebbe che non giunsi ad Ilio,
che non partecipai d’alcuno il talamo.
Dunque, finché mirò del sole il raggio
Pròteo, da nozze immune fui; ma quando
ei della terra scese fra le tènebre,
vuole sposarmi il figlio suo. Ma io
disonorar non vo’ l’antico sposo,
e, qui venuta, al tumulo di Pròteo
supplice mi prosterno, affinché il talamo
puro conservi del mio sposo: ché
se il mio nome infamato è pur nell’Ellade,
il corpo mio vergogna qui non merita.
Entra Teucro, e contempla il palagio.

teucro

Chi regna in questa eccelsa casa? È degna