Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/209

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206 EURIPIDE


Antistrofe I

Poi che la Madre desisté’ dal correre
affannosa sui tramiti
del ratto della figlia
frodolento, ove mai scorse vestigia,
e varcò delle Idèe Ninfe l’aeree
cime, di neve candide
nutrici, quivi l’abbatté lo spasimo,
fra boscaglie e fra rupi aspre di ghiaccio.
E allor, pei campi sterili
d’erba, l’aratro van rese; e a sterminio
tutti adduceva gli uomini;
né per le greggi piú rendeva floridi
d’erbe ricciute i pascoli.
Le città senza vitto: sacrifizio
piú non si offriva ai Superi,
libami piú su l’are non ardevano.
E dalle fonti roride
che scaturisse piú la linfa chiara
vietò: tanto era la sua doglia amara.

Strofe II

Or, poi ch’ebbe ai convivii posto un termine
dei Numi essa, e degli uomini,
Giove, per mitigar l’ira terribile
della Madre, cosí favellò: «Grazie,
movete, o venerabili,
ite, fate che fine abbia lo spasimo
dell’errare per lei, che per la vergine
Dèo si tortura. E i cantici
delle danze, da voi, Muse, s’intonino».
E la terrestre bronzea