Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/222

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ELENA 219

chi dispone il remeggio, e chi le stroppe,
e volte a un segno son le vele bianche
e i timon’ con le cinghie in giú calati.
Mentre a ciò s’attendeva, alcuni Ellèni,
di Menelao compagni, al lido giunsero,
belli di forme, ma di cenci avvolti
di naufragio, e d’apparenza sordidi.
Come l’Atríde approssimar li vide,
levando finti gemiti, parlò:
«O sventurati, da qual nave achèa
franta, giungete? Al misero d’Atrèo
figlio volete dar con noi sepolcro,
ché la salma è perduta, e la Tindàride
ne celebra l’esequie?». E finte lagrime
quelli versando, nella nave entrarono,
per Menelao recando i doni funebri.
A noi fu causa di sospetto, il numero
grande di quelli che saliano; e motto
se ne fece fra noi; ma poi tacemmo,
per obbedire ai detti tuoi: ché ordine
tu dato avevi che il foresto avesse
della nave il comando; e tu la causa
fosti cosí di tutto lo scompiglio.
E dunque, tutte nella nave l’altre
maneggevoli cose agevolmente
poste avevamo; ma non volle il toro
poggiar diritto il pie’ su la palàncola:
anzi muggiva; e stravolgeva gli occhi,
la schiena arcava, e si guardava ai comi,
ed impediva di toccarlo. E d’Elena
gridò lo sposo allora: «O voi che d’Ilio
abbatteste la rocca, or non levate
sui giovanili omeri il toro, come