Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/224

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ELENA 221

per il foresto. E disse alcuno: «Inganno
fu questo navigar: torniamo a riva!
Tu da’ l’ordine: tu gira il timone».
Ma sul toro immolato alto sorgendo,
gridò l’Atríde ai suoi compagni. «O fiori
d’Ellade eletta, a che per voi s'indugia
a scannar questi barbari, a trafiggerli,
a scagliarli nel mare?» — E ai tuoi nocchieri
il còmito gridò di contro: «O via,
al calcio l’uno impugni il palo, un altro
i banchi spezzi, dallo scalmo sfili
un terzo i remi, e insanguini la fronte
dei nemici stranieri». In pie’ balzarono
lutti, stringendo quelli spade, questi
nautici arnesi. E fu di sangue colma
tutta la nave. E d’Elena s’udia
l’incitamento a poppa. «Ov’è la fama
che guadagnaste a Troia? A questi barbari
si mostri!» E nella furia, altri cadevano,
altri si rialzavano, già morti
veduti altri ne avresti. E Menelao,
stringendo l’armi, ove scorgea gli amici
pericolanti, ivi accorreva, e il ferro
sui nemici vibrava, e giú nell’onde
li faceva piombare: onde la nave
deserta fu dei tuoi nocchieri. E il sire
al timone sedè, disse che all’Ellade
volgessero la prora. E quelli alzarono
le vele, e il vento si levò propizio.
Sí che son lungi dalla terra. Ed io,
gittatomi nel mar, di presso all’àncora,
mi salvai dalla strage; e, ormai spossato,
mi trasse in salvo un pescatore, e a terra