Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/44

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ANDROMACA 41

Ch’Ettore ucciso e trascinato vidi
crudelmente dal carro, ed Ilio in fiamme,
e schiava io stessa, ai legni argivi giunsi
tratta via per la chioma; e quando a Ftia
giunsi, andai sposa agli assassini d’Ettore.
Qual dolcezza la vita ha piú per me?
Dove l’occhio fissar posso? Alla sorte
presente, forse? O alla trascorsa? Questo
figlio restava solo a me, pupilla
della mia vita; e a ucciderlo or s’apprestano
quei che l’hanno deciso. Oh, non morrà
perché sia salva la mia vita grama:
ei se vivrà potrà sperare: a me
scorno sarebbe non morir pel figlio.
Ecco, l’altare lascio, ecco mi dò
nelle tue man’, ché tu mi sgozzi, uccida,
accoppi, a un laccio il collo appenda. O ligi
io che ti generai, nell’Ade scendo
perché non muoia tu. Se tu la morte
schivar potrai, di tua madre ricòrdati,
quanto misera fu la morte mia,
e coi baci a tuo padre avvicinandoti,
e lagrime versando ed abbracciandolo,
digli ciò che soffersi. A tutti gli uomini
diletti i figli sono al par dell’anima.
Chi n’è privo e li spregia, ha men di cruccio
ma misera è la sua felicità.
Si allontana dall’ara.

coro

Mi commuove l’udirti: a tutti gli uomini
ispira pïetà, sia pure estraneo,