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EDIPO A COLONO 111

padre. Ma Sofocle aveva bisogno di una mira per le imprecazioni paterne; e, perché queste non sembrassero esagerate o addirittura fuori di luogo, caricò le tinte su Polinice. Anche una volta, l’atteggiamento trascina l’artista. Osserviamo, infine, l’altezza ideale, assoluta, immacolata, in cui si libra la figura di Teseo. Veramente, sembra che non lo tanga miseria umana. E certo questa sua concezione è frutto del noto campanilismo a cui non poteva sottrarsi neanche il genio di Sofocle.

Su tutte e tre queste figure, pure cosí rilevate e vive, è dunque l’ombra d’un preconcetto non interamente artistico. Libere interamente sono invece le figure di Edipo e di Antigone.

Ma in questo dramma, Antigone è un po’ in ombra. La figura veramente grande, quella che assorbe tutto l’interesse, ed eclissa tutte le altre, è Edipo. L’Edipo di questa tragedia è, per molti aspetti, superiore anche a quello dell’«Edipo re». Quest’ultimo è immenso per l’orrida tragicità in cui si trova coinvolto. Ma, come ho già osservato, per la violenza, appunto, e per la rapidità degli eventi che lo trascinano, le note profonde e salienti del suo carattere non hanno neppur tempo di determinarsi. Qui, invece, la stretta del Destino è rallentata, e l’animo che lí era compresso, si dispiega liberamente, e ci svela tutta la sua complessità. Anche qui, non indugio in superflue analisi. Tutti, leggendo la tragedia, vedranno chiaramente espressa, nella limpida sequela delle scene, la multiforme gamma dei suoi sentimenti, che ondeggiano fra i due poli, pur sempre immoti, d’una implacabile tenacia, d’una tenerezza commossa.

E in questi sentimenti riesce adombrata tutta una filosofia di vita.

Dolorosa filosofia, che riceve certo il suo tòno generale dall’amara sentenza:

Vano è vecchio innalzar chi cadde giovane;