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cielo, anche il minutissimo anfratto del baratro più profondo, è tutto permeato della sua luce di morte.

E forse, la verità è altra. Forse, ciò che più ci prende, è appunto la odiosa disumana storia d’Edipo.

Perché, sotto la maschera dell’antichissimo mito, gli uomini di ogni tempo videro e vedranno sempre un terribile volto. Il volto dell’umano destino, che oggi non si chiama più Moira, ma tanto più ci dòmina, inesorabile e indecifrabile, quanto più volgono i secoli, e l’uomo avanza nella conoscenza delle forze occulte che reggono la meccanica dell’universo. E perché nessuna maschera è più orrida, nessuna èvoca, nelle latebre del nostro spirito un più pauroso presentimento. E questa tragedia, più che provocare in noi una vera commozione estetica, ci tiene avvolti, quasi in stato catalettico, al suo terribile fàscino.

Ma forse, non giova insistere troppo in queste indagini. L’«Edipo» è uno di quei capolavori, rarissimi, in cui un grande artista sfiora appena col sommo dei piedi le ineliminabili necessità della tecnica, e plasma la sua materia con dominio così assoluto, che le sue figure ne derivano le medesime facoltà essenziali della vita, nascondendo, nella loro apparenza raggiante, il mistero del loro sviluppo e della loro bellezza. Dinanzi a loro si rimane perplessi: il loro segreto ci sfugge, come quello delle vive creature umane; e qualsiasi intelligenza non è possibile se non attraverso alla simpatia e l’intuizione. Detto in parole povere, questi lavori ognuno deve cercare d’intenderli per conto proprio; e, ad ogni modo, una troppo insistente anatomia critica ci repugna, come qualsiasi vivisezione.