Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/142

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Annibai Tosco da Cesena, gentiluomo raro, questo effetto occorso ad una leggiadra donna, il cui.nome per molti rispetti voglio tacere. La quale, non potendo piegare l’indurato core del suo amante, o, per meglio dire, che si mostrava indurato, perché smisuratamente l’amava, da lei non mancò di volere, sciogliendo l’anima dal corpo, andare a trovare gl’innamorati spiriti. Imperoché, essendogli venuto alle mani un pugnale, con animo ardito con quello si percosse il petto, di maniera che tramortita gli cadde innanzi, senza altro dirgli che queste parole: —Non m’incresce il morire, ma duoimi ch’io ti lasci.—

Domenichi. Dunque ella mori?

Baffa. Non mori giá, ma corse bene infino sulle porte, e sopra il limitare trovò scritto non esser giunto il termine assegnato. Imperoché ogniuno desperava della sua salute.

Domenichi. Ben si può dire che questa fosse potente passion d’atnor vero, e si può notar per miracolo.

Raverta. Senza dubbio non si può negare, perché piú manifesta prova non credo che si potesse vedere. E, se aveniva, ch’io non vorrei per altra cosa di valore, e come fermamente si giudicava, che fosse morta, si ardita opra ed animo cosí invitto non restava senza degna ed eterna memoria, non per quanto si fossero estese le forze mie, ch’assai debili sono, ma per quanto gli ingegni dei piú chiari e virtuosi, ch’oggi tra noi sono, avessero potuto. Ma lodato Amore che cosí sia successo!

Domenichi. Lasciamo pure questi fatti da parte, perché quanto possa la passione dell’odio, oltre ch’assai ben lo avete dimostrato, si può considerar anco in Cleopatra. La quale, per l’odio che portava ad Augusto e per fuggire d’andargli nelle mani, con due venenosi aspi le poppe si tossico, contenta piú tosto di morire che di vedere chi tanto odiava. E tanto fu l’odio che Marco Antonio portava a Cicerone, che, cosí morto com’era, si fece mettere il suo capo su la tavola, per saziar l’animo suo di tale spettacolo odioso. E Fulvia, sua moglie, gli trasse la lingua, oltraggiandolo come se vivo stato fosse. Infiniti essempi vi potrei raccontare, i quali io taccio per esser chiarissimi e noti.