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Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/206

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Tullia. Come sta dunque questa cosa?

Varchi. Sta bene, e per voi che avete dubitato sottilissimamente, e per me che ho detto la veritá.

Tullia. Sta pur a vedere che Calandrino sarò io! Come può esser vero questo?

Varchi. La medesima apparenza ed equivocazione, che vi appannava di sopra, ora vi abbaglia; perché nel vero, considerando essenzialmente ed in sustanza, «amore» ed «amare», come s’è detto poco fa, sono il medesimo; ma, considerato l’«amore» da sé e P«amare» da sé, con quella aggiunta del tempo, gli fa parere diversi; e questo non procede dalla diversitá dell’esser loro, ma dalla diversitá del nostro considerargli. E, se voi sapeste che «uomo» e «umanitá» sono una cosa medesima, benché diversamente, non vi fareste cosí gran meraviglie.

Tullia. Ecco di quelle ch’io diceva. Come volete voi ch’io possa credere che la cagione e l’etTetto siano un medesimo?

Varchi. Non voglio cosí io: perché quello che non è non può intendersi, e non dee credersi.

Tullia. Dunque aveva io ragione?

Varchi. Signora no.

Tullia. Oh, come sta questo fatto?

Varchi. Lo farò dire a voi stessa, poiché noi volete credere a me.

Tullia. E che? Per via di loica?

Varchi. Voi vi fate beffe, ed uccellate molto questa loica:

ma ella s’è beata, e ciò non ode.

E di vero le fate torto; ma ella vi renderá ben per male, facendovi prima conoscere, poi confessare a viva forza la veritá.

Tullia. Ella non mi ha perciò fatto confessare né fará, s’io non impazzo, che la cagione e lo effetto siano una cosa medesima.

Varchi. Bel merito che voi le rendete! Ella sola è cagione e fa che noi confessiate, percioché fu trovata per iscoprire la veritá e per ricoprire la bugia; e chi la usa altramente fa quello che vuole, ma non quello che dee, e merita quel medesimo