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Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/248

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punto, quando sentimmo picchiare, che veniste voi, voleva entrare in Siena, dove ella è piú tosto ammirata ed adorata che benvoluta ed amata, e massimamente da tutti i piú nobili e piú virtuosi.

Tullia. Messer Lattanzio, se voi non vi acquetate, io romperò le leggi e mi cruccerò con esso voi.

Varchi. Infin qui egli non ha detto cosa che io non mi sapessi, e forse un poco piú lá, se giá non volete che mi siano secreti i bandi, e pensate che io non sappia quello che sa tutta Italia, anzi tutto il mondo. Si che lasciatelo fornire.

Benucci. Non ho che dire altro.

Varchi. Eh, dite su, ché io desidero di saper que’ senesi che piú la amano.

Benucci. Io vi arei a racontar tutta la nobiltá di Siena, se voleste sapere tutti quelli che la amano ed osservano.

Varchi. Ditemi almeno di quelli che sono amati da lei.

Benucci. Questo non so, ma credeva bene che fossero piú che non sono.

Varchi. E di questo che sapete? A me pare che ella raccolga volentieri e faccia buona cera ad ogniuno.

Benucci. E questo è quello che mi aveva ingannato. Io so bene che le gentilezze e cortesie sue sono infinite, e si possono conoscer da molti segni, che io non voglio raccontare in sua presenza; ma intendeva di quelli a chi ella portava affezzione straordinaria.

Varchi. Chiamate la gatta «gatta»; che volete voi dire?

Benucci. Vo’ dire che molti per aventura si dánno a credere che ella di loro sia innamorata, ed io credo che si ingannino.

Varchi. E perché dite voi cotesto? Io, per me, ne la terrei da piú quando ella ad alcuno portasse amore.

Benucci. Anch’io. Ma dico cosí, percioché, avendole nominato dianzi, fra tanti che la hanno amata e celebrata in prose e in versi, messer Bernardo Tasso, e, chiamandolo io felice per lo esser stato tanto amato da lei, ella il mi negò. E, allegandole io la auttoritá e testimonianza di messer Sprone in quel suo bellissimo e dottissimo Dialogo di Amore, mi rispose avere amato