Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/43

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i - il raverta 37


Raverta. Non vi può essere, essendo la beltá divina di gran lunga superiore all’anima nostra. E però, se prima a poco a poco non s’avezza a sopportare quella divina luce, nel primo impeto restarebbe abbagliata. E perché meglio m’intendiate, non so se a voi sia mai intravenuto, che credo spesse volte a voi ed a tutti sia occorso. Provate a tenere alquanto chiusi gli occhi e poi apritegli, riguardando inverso il sole; vedrete che in quel momento non potrete sostenere quella repentina luce, se prima pian piano non gli andate avezzando. E soviemmi ora ch’io ho la mia camera, nella quale dormo, esposta al nascer del sole. Onde la mattina, quando io mi sveglio e mi s’aprono le fenestre, i raggi di quello penetrano in me con sì vivo lume, che gli occhi miei per modo alcuno non ponno tolerare quello splendore, se lentamente non apprendo la luce; per essere io stato infino allora sepolto nelle tenebre della notte. Così voglio inferire che l’anima nostra, avezza a queste cose mondane, non potrebbe al primo tratto levarsi all’alta cagion prima, e farebbe vero di quello che favolosamente si legge di Fetonte.

Baffa. Poiché abbiamo inteso i gradi per i quali s’ascende alle vere bellezze, mi resta sapere la contentezza delle anime beate, ed onde avviene che quelle non desiderano piú oltra.

Raverta. Ora che cosí leggiermente avete fin qui compreso quale sia la vera bellezza nostra e quella d’iddio e la differenza tra l’uno amore e l’altro, avete da considerare...

Baffa. Perdonatemi, s’io non vi lascio seguire piú oltra. Vero è che me ne avete detto, ed io ne ho anco assai compreso; nondimeno mi sarete cortese di questo di piú. Né vi sará noia, così, brevemente, per salir dove desidero, ripigliare di novo il ragionamento ch’a questo appartiene, e dirmene, se non in tutto, in parte, alcuna cosa di piú. Perché, oltra che forse meglio ne comprenderò qualche cosa che cosí a pieno non mi è passata alla memoria, so che non potrá essere che non gli aggiungiate alcun passo di piú.

Raverta. Io vi prego che non mi diate questo carico, che certo non sarebbe proposito dir piú quello, di che poco dianzi, brevemente però, ma sofficientemente s’è parlato. Oltra che, le