Pagina:Trattato de' governi.djvu/326

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gli altri nè di potenze, nè di amicizie, nè di ricchezze. E s’ei non si può schifare questo, facciasi almeno che tali non vivino insieme con gli altri cittadini. E perchè il modo del vivere privato è cagione di fare cose nuove, però bisogna mettere un magistrato che vegli la vita di chi vivesse in modo disutile a quello stato; cioè che nello stato popolare non vivesse da popolo, e in quel dei pochi che non tenesse vita conveniente da tale stato, e così trascorrendo per tutti gli altri. E debbesi ancora avvertire particolarmente ciò che nella città è troppo baldanzoso, per le cagioni medesime, e il rimedio di questo male è dare sempre le faccende e li magistrati alla parte avversa. Io chiamo parti avverse i cittadini popolari, e li modesti e li poveri e li ricchi. E debbesi fare ogni opera di mescolare bene insieme nel governo li ricchi, e li poveri, o veramente è da dare riputazione alli mediocri, perchè tale cosa rompe le discordie, che nascono dalle disugualità.

In ciascuno stato è d’importanza grandissima, che e’ vi sia per via delle leggi, e dell’altre usanze ordine di maniera che delli magistrati non si tragga utile; e ciò massimamente si debbe osservare negli stati stretti. Imperocchè li cittadini popolari non hanno tanto per male d’essere proibiti dello stato (anzi l’han caro, s’ei sono lasciati attendere alle loro faccende), come egli han per male quando e’ pensino che il publico sia rubato da chi governa, che allora egli hanno due dolori, l’uno è dell’esser privati de’ magistrati, e l’altro dell’essere privati degli utili.

E in questo sol modo si può fare uno stato, che sia popolare, e da ottimati; perchè e’ ci possono avere li nobili, e li popolari ciò che brama e l’una e l’altra parte: essendo ordine popolare, che ognuno possa avere dei magistrati; e da ottimati che li nobili gli esercitino. E ciò si conseguita