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94 Arte italica.


Nell’età della pietra fu usata dai cavernicoli la sola umazione dei cadaveri; ma, al passaggio nell’età del bronzo, subentrò e si fece generale l’uso della cremazione durante anche l’età del ferro, che già si rivela presso gli abitanti delle palafitte e delle terremare del Veronese, del Mantovano, del Modenese e del Bolognese.

Le tombe quivi consistono di rozzi vasi di terracotta, disposti a fianco gli uni degli altri, con entro ceneri ed ossa combuste. Contemporaneamente, però, durano in altre tombe traccie di umazione. Si deve dunque supporre che le popolazioni immigrate dall’Oriente in Europa, e quindi con esse quelle genti italiche che prime vennero dal Nord ad occupare la penisola, avessero il rito della cremazione in comune con quelle genti affini, di stirpe aria, che stettero nell’Asia ed occuparono la penisola dell’Indostan, cioè gli Arii-indiani, ai quali l’incenerimento fu sempre il modo preferito di sepoltura; modo naturale per pastori erranti e guerrieri conquistatori, ai quali era così permesso di portar seco le reliquie dei padri. E di questo darebbe conferma la linguistica1.

Il rito della cremazione è, del resto, quasi esclusivo nelle tombe laziali, nelle arcaiche felsinee (dei predî Benacci), nelle euganee, in quelle di Villanova, nelle tombe a pozzo di Poggio-Renzo, di Sarteano, di Corneto-Tarquinia, nei quali luoghi tutti, se pur s’incontrano cadaveri umati, essi sono in

  1. La voce greca che genericamente indica “seppellire„ cioè θάπτειν, nel valore primo della sua radicale ταφ, dice “ardere, abbrucciare„, ed ha per riscontro la rad. tep, di tep-co e tep-idus nel latino, e per riprova τέφρα, “la cenere„ e l’uso della voce θάπτειν in senso d’incenerire i morti, presso Omero (Iliade, XXI, 323: Odissea, XII, 12. XXIV, 417).