Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 157 — |
Masaniello1, garzone di pescivendolo non anco ventenne, colpito dalle prepotenze spagnuole e dalle esagerate gabelle che torturavano il popolo, fissa il chiodo sul modo di liberarlo, comincia a far cantare a dei monelli come lui alcune parole rivoluzionarie, fatte imparare a mente, parole che restavano tanto più in mente inquantochè esprimevano le più care speranze del popolo, cioè: l’olio a due tornesi senza gabella, mora il mal governo. A poco a poco quei monelli divennero cinquecento, mille, due mila, e mano mano fino 100 mila, 120 mila; e così in un tratto Masaniello si trovò padrone di Napoli. E vi governò da savio ed insieme da pazzo.
Strappò i peli al cranio del Caraffa fatto uccidere crudelmente dal popolo; e non potendo, come desiderava, aver nelle mani il duca di Maddaloni, ne guastò il palazzo, trapassò con ispilli gli occhi al ritratto del padre suo e gli tagliò la testa in effigie.
Si spinse ad abbruciare gli uffici delle gabelle, le case di chi se ne arricchiva, punendo poi chi della distruzione tentava approfittare: così per una tovaglia o per un sacco d’orzo qualche popolano fu condannato a morte.
Insieme, però, dimostrò un’abilità straordinaria: organizzò barricate; accettò, prima, il concorso dei banditi; ma quando vide che e’ volevano conservare il cavallo, prevedendo, com’era vero, qualche tradimento, li fece sterminare. Ordinò che le donne non
- ↑ Giraffi, Ragguagli sulla rivoluzione del Regno di Napoli, 1655. — Amadori, Napoli sollevata; Bologna, 1650.