Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/351

Da Wikisource.

la prima parte» egli aggiungeva «cui solo penso in questi giorni, saranno uniti la dissertazione del Witte, e i documenti storici che mi servono di prova. Le cose annebbiate dal tempo, vi appariranno in tutta la luce: e l’ultimo diploma da me scoperto ha fatto in un punto ciò che tutte le congetture non avrebbero latto. E mi ha conceduto il vantaggio per me inestimabile di liberarmi dal dire le tante cose che avrebbero dato al mio scritto il tuono e lo stile di dissertazione: poiché io sempre ho rivolto meco nel pensiero di volere scrivere un pezzo istorico alla maniera dei classici antichi o degl’italiani. E questo proponimento non avrei potuto conseguirlo con un viaggio dantesco: ma il posso con le vite dei Fagiolani». E piú innanzi: «... senza il diploma ultimamente da me trovato, avrei dovuto stemperare le cose di Uguccione in quel viaggio; e parlarne a spilluzzico ed a misura che avrei trattato dei luoghi ov’ei s’illustrò. Questo difetto procedeva dalla mancanza delle prove sul vero luogo della sua nascita. Or che le prove mi son venute alla mano, posso delineare la vita di Uguccione... Tutto ciò era coperto di nubi: se non avessi visto i luoghi, non ne avrei capito nulla: senza il mio esilio, non avrei visto i luoghi. A qualche cosa dunque avrá servito la nostra sventura». E il libro fu pubblicato a Firenze non coi titoli giá pensati dapprima, né con quello a cui pensò da poi di «Esilio di Dante presso Uguccione della Fagiola», coi quali l’autore voleva porre in evidenza ch’egli intendeva scrivere, innanzi tutto, un lavoro storico, ma con quello Del veltro allegorico di Dante Alighieri, a lui suggerito dal Marchetti, a Firenze, il 31 dicembre 1825 con la data del 1S26, presso Giuseppe Molini, all’insegna di Dante. Si era, nel tempo in cui usciva il Veltro del Troya, in pieno fervore di studi danteschi: giá nel secolo precedente era incominciato, vivo ed energico, il movimento di reazione a quanto di leggero, di stupidamente denigratorio, e di scioccamente villano era stato scritto contro Dante da stranieri come il Voltaire, e da italiani come il Baretti e particolarmente come il Bettinelli, che nelle Lettere virgiliane aveva dato il noto giudizio sulla Divina Commedia-, «uno spropositato poema, diviso in parti fra loro ripugnanti e lontane, tria» sarebbe stato a lui facile «legar le storie dei paesi ove (Dante) visse in esilio, con la storia di quella cosi famosa Firenze... Ottengo in tal modo» egli aggiungeva «il mio doppio oggetto di scrivere una storia, e d’illustrare le cose di Dante, senza prendere il titolo di cementatore che aborrisco». G. del Giudice, op. cit.