Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/378

Da Wikisource.

CARLO TROYA terra né peltro, ma sapienza, amore e virtú, aver, cioè, gli attributi della Trinitá, sapienza, amore, potenza; il ricacciare per sempre nell’inferno l’avarizia, venuta al mondo co’ primi uomini, non convengono a un uomo, ma a Dio. Resta dunque che il veltro sia Dio»; e piú particolarmente lo Spirito santo. Infine, il Pietrobono ritiene che nel veltro il poeta personifichi «la sua grande e ferma speranza nella redenzione morale, civile e religiosa dell’ Italia e del mondo» (0. Né sappiamo se, fatta eccezione delle veramente stravaganti, per dirla col Bartoli, non sarebbe troppo ardito dichiarare definitivamente sepolta e dimenticata anche una sola delle molte opinioni da noi brevemente richiamate ed esposte! 2 ). II Le lettere del Troya a Cesare Balbo, che ripubblichiamo togliendole dalla raccolta del Mandarini (?), appartengono al periodo, ricco di operositá fervida, in cui lo storico napoletano attendeva (1) Nel commento alla Divina Commedia, Torino, Internazionale, 1927. (2) S’iintende che vogliam dire di quelle che furono sostenute in buona fede da studiosi a cui una profonda coltura non permetteva voli eccessivi di fantasia. Ci si permetta di fare un confronto. Vento poco favorevole, scriveva il Rajna ( Per l’andata di Dante a Parigi, in Studi danteschi, II, 1920) spirava alla credenza nell’andata di Dante a Parigi. 11 Rajna, analizzando e spiegando i versi 46-48 del canto XXIV del Paradiso, e notando come in essi vi sia, non solo la prova della conoscenza d’una terminologia «un paragone di carattere intimamente spirituale», conchiude: «Bisogna di necessitá che qui s’abbia una similitudine vissuta, Dante fu propriamente a Parigi». E quanto al tempo, considerando ciò che dice il Boccaccio da cui «non è da scartarsi senza validi motivi», lo indica al cadere del 1310 e al principio del 1311». Ma in una breve relazione di conferenza tenuta all’Ambrosiana da Francesco Orestano, nel n. del 26 aprile 1932 del Corriere della Sera (Una nuova interpretazione dantescaJ, si legge: «L’oratore ha rilevato nelle tre cantiche quattro diversi modi di concepire le anime; di piú nei primi 50 canti non v’è traccia alcuna della metafisica di Aristotile. Il primo timido accenno si ha nel XVII del Purgatorio; nel XXV si è in pieno aristotelismo e la terza cantica ne è poi la professione sistematica completa. Questo fatto ripropone anche un importante problema biografico: quando, dove, come e da chi Dante apprese la metafisica di Aristotile, e rimette in nuova luce l’ipotesi del soggiorno di Dante a Parigi»! (3) Della civile condizione dei romani vinti dai longobardi e di altre questioni storiche. Lettere inedite di C. Troya e di C. Balbo, con pref. di E. Mandarini, Napoli, tip. degli Accattoucelli, 1S69.