Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/395

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dei longobardi al cattolicesimo non ha segnata la fusione dei due popoli, e neppure tale fusione era avvenuta alla fine del regno longobardo; soltanto «in qualche punto erasi determinato un ravvicinamento; i longobardi... avevano accettato dai vinti qualche principio giuridico; avevano forse dato alla organizzazione dello stato alcunché dell’aspetto romano; ne avevano adottato qualche consuetudine. Ma la divisione netta e precisa tra i due popoli erasi mantenuta». E per quanto riguarda la durata del diritto longobardo, il Cipolla conclude cosi: «Il diritto longobardo accompagnò gli ultimi residui del popolo, fino al loro completo assorbimento nella massa preponderante della popolazione latina» (*). Pure ampiamente tratta dell’argomento Giacinto Romano (*). Egli, riportati i due controversi passi di Paolo Diacono, fa propria l’opinione dell’ Hegel, che essi «hanno servito piuttosto ad oscurare la questione che a rischiararla». Nota come, fatta eccezione del Troya e del Manzoni, «per citare i piú noti», in generale gli studiosi italiani siano «tutti inclinati ad ammettere che i romani furono liberi, d’una libertá piú o meno condizionata; viceversa da C. Hegel a L. M. Hartmann, è opinione dominante in Germania che i longobardi ridussero gl’italiani alla condizione di aldi». Ed esposta l’opinione dello Schupfer, si chiede se il (1) In un altro suo scritto (Per la storia d’Italia e dei suoi conquistatori, Bologna, Zanichelli, 1855), il Cipolla, riferendosi al documento, edito dal Troya, dell’ottobre 746, in cui si ricorda come YValprando, vescovo di Lucca, aveva immesso nei possessi della chiesa di San Pietro in Mosciano certo prete Lucerio cum consetisu Rat petti et Barbuta centenariis, vel de totani plebern congrecata, osserva: «Qui i centenari appariscono quali officiali del comune longobardo, per adoperare la frase del suo editore, il Troya, che a dir vero può parere non poco ardita. Parlare di comune nel sec. VIII sembra, ed è forse in fatto, una inesattezza per lo meno. Se esistevano cives al tempo longobardo, può ammettersi tuttavia che una qualche organizzazione popolare si venisse fin d’allora formando, e ciò è tanto piú a presumersi in quanto che nella prima etá carolingia abbiamo ormai evidenti i segni dell’interiore lavorio, che da lontano veniva preparando quello che non fu l’opera di un giorno, il Comune. Il Troya intende ad ogni modo, di parlare degli officiali della gau longobarda. L ’ordo romano, nel suo pensiero, sarebbe sostituito d ii centenari longobardi. Qui faccio le mie riserve davvero, poiché non è affatto chiara l’origine, neppur remota, del nostro comune dall’organizzazione romana. L’origine ideale dal principio romano sta bene; ma l’origine effettiva da una determinata amministrazione antica, è tutt’altra cosa. Volendo abbondare ne! senso del Troya, si potrá tutt’al piú concedergli che la tradizione dell ’ordo fu accettata e rinnovata dalle nuove magistrature». (2) Op. cit.