Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/398

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sfera luminosa dei loro ideali; ma erano anche uomini di meditazione e di pensiero, di esperienza politica e morale, eruditi, studiosi, indagatori». E dice ancora il Croce che «agli storici di quella scuola si deve l’aver data opera, rischiarati dal Vico e dal moto recente delle idee in tutta Europa, a investigare la vita sociale d’Italia...; e questa storia sociale d’Italia intraprese il Troya». E dopo aver notato che «moltissime sono» le costruzioni ed i giudizi degli storici cattolico-liberali «chela scienza ha accettati e che, mutatis mutandis, tutti ora ripetiamo», conclude: «Il Troya, certamente, come il Manzoni, reagendo contro idee convenzionali, aveva finito quasi con l’odiare personalmente i longobardi; ma, ciò nonostante, molti tratti che egli notava, erano veri e sono rimasti, e, quando non sono rimasti come sicuramente sicuri, agitano sempre la mente come dubbi gravi»(0. Ili Carlo Troya, lo studioso de’ problemi storici dell’antichitá e del piú remoto medioevo, che a tali studi era guidato da forza d’amore a questioni fondamentali per la conoscenza della storia d’Italia, e (i) Basterá appena ricordare, che alcuni punti delle lettere del Troya al’Balbo in cui non si discutono questioni storiche medievali, rispondono a confidenze personali o ad espressioni di sentimenti o a proposte del Balbo al Troya. Cosi nella «Lettera quinta» del 15 del 1831, questi risponde aH’aniico torinese, che il 26 dicembre 1830 gli aveva dato notizie di sé e del proprio passato, ed anche della propria nomina a segretario della giunta istituita dopo l’annessione degli stati romani all’impero napoleonico. Il Balbo aveva scritto: «Me ne dolsi, me ne desperai, non celai nemmeno molto il mio dolore, ma non dissi quel —no, non andrò, — che avrei dovuto dire. Questa è la sola colpa di mia vita, che conobbi allora, che conosco, e riconoscerò sempre». E nella «Lettera sesta» il Troya rispondeva ad una proposta del Balbo e di amici di questo riguardo alla pubblicazione delle lettere sulla condizione dei romani sotto i longobardi. Il Balbo, poi, gli scriveva il 7 febbraio 1831: «Badate, che io nel confortarvi anch’io a lasciar accademizzare e pubblicare le vostre lettere, parlai piú delle future da me domandatevi che delle passate. Queste, compresa l’ultima del 31 gennaio, utili a me, ma giá difficili ad intendersi da me, che bene o male, molto o poco, ho pur lavorato sul medesimo assunto; queste dico, (e vedete quanto poco io faccia complimenti) non sarebbero stampabili se non postume, che Dio ce ne guardi gran tempo». Sará poi opportuno tener presente, anche a proposito del carteggio del Troya e del Balbo, delle questioni che vi si trattano, e dell’accoglienza che le opinioni del primo avevano fra gli studiosi a Torino, R. Zagaria, Gli amici torinesi di C. Troya, in Rassegna star, del Risorgimento, a. XV, luglio settembre 1928.