Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 412 — |
— Non lo so, in coscienza non lo so. È un fatto che non deve accadere, Moras, ella non può persistere...
— Io persisto egualmente, anche se dovessi morirne! — disse il giovane senza la più lieve esitazione.
Elfrida commossa, sollevò un istante gli occhi e tutt’a un tratto Moras non le parve più quello d’una volta. Raffinato nella forma da un lungo soggiorno all’estero e nell’anima dallo segrete sofferenze della sua invincibile passione, egli aveva assunto quella nobile schiettezza di modi ch’è quasi sempre il riflesso d’un carattere integro e sicuro. La sua figura s’era fatta più elegante e più snella e non mancava d’una certa grazia giovanile, dal volto aperto e intelligente traspariva l’energia d’una tempra già addestrata alle lotte della vita
Un impeto di gratitudine aveva sopraffatto il cuore della fanciulla, senza attenuarne l’angoscia, senza suscitarvi alcuna rispondenza. Combattuta da impressioni affatto opposte, ella disse, fievolmente:
— Mi lasci pensare.. ritorni domani... no domani! fra otto giorni!
— Farò come le piace — rispose Moras con grave sforzo, e non potendo più reggere al travaglio dell’animo, nè dissimularlo, prese rapidamente commiato e s’affrettò a lasciarla.
Elfrida lo seguì con lo sguardo confuso, spirante una tristezza infinita.
Forse ora ell’avrebbe desiderato di poter amare Enrico Moras, ma il suo cuore era chiuso e muto.