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Il sacrificio di Ieronima 13


ha collegato il sacro pensiero dell’Arte alle sofferenze e alle giole più vitali. Ella guardava in alto come vagando coll’occhio e colla mente nel mistero dell’infinito, e il pianoforte, istrumento così positivo, sotto le sue dita rispondeva, cantando, all’esuberanza di quella giovinezza tutta compresa ma non annientata dal proprio dolore. Era come un canto supremo d’addio all’ideale che si dilegua.

Ella stette lì a quel pianoforte, tufto obliando intorno a sè, anche i vicini che potevano udirla, e l’alba la trovò ancora assorta in una profonda concentrazione dello spirito, come in una inarticolata preghiera.

Un grande desiderio la stringeva, l’affannava, quello di seguire la via dell’Arte che la fervida immaginazione giovanile le dipingeva facile e poetica, di poter vivere col pensiero costantemente assorto nelle cose alte e belle, lontana, lontana da tutto quello che costituisce il positivismo delle cure familiari. Ella vi si era dedicata, un tempo, per suo padre con vero intelletto d’amore e coll’assennatezza che gl’ingegni ben fatti portano in tutte le occupazioni ancorché ripugnanti; ma il dovere a cui era stato concesso d’altronde sì largo compenso, cessava dinanzi alla tomba recente; la sventura l’aveva dolorosamente svincolata dai suoi obblighi di donna e di figlia; attratta da una forza irresistibile verso il suo sogno, ella non sapeva più discendere senza un certo ribrezzo agli umili particolari della vita casalinga, agl’intingoli, ai rattoppi.

Musica, libri, fiori e la deliziosa indipendenza del pensiero... E poi, i concerti, oh il fascino dei concertil.. Essere in una grande sala, tutta illuminata e gremita di gente, dinanzi al proprio istrumento, ed effondere sè stessa, l’anima della propria anima nell’interpretazione dei grandi, e far palpitare quel pubblico; soggiogarlo, incatenarlo colla magia d’una forte individualità artistica, essere una specialità, nel canto, come lo fu un giorno Thalberg, dimenticare i freddi acrobatismi della moda, cantare e far piangere...

Sogno ambizioso: ma divino! E d’altronde, che cosa le restava?.. la prospettiva di far la bambinaia ai suoi nipotini, di corrispondere col lavoro alla generosità di suo fratello che le offriva un asilo protettore.

Un istinto quasi invincibile dominava così imperiosamente le inclinazioni di Ieronima, che quanto di tenero, di dolce può dare la famiglia, nulla, più nulla ormai le sorrideva. In quell’inclinazione era per lei come una sacra chiamata della sorte; nè difficoltà, nè ostacoli l’avrebbero fatta indietreggiare, ma si sentiva sola, indifesa, priva d’aiuto dinanzi alla grande battaglia, e la sua giovinezza, sempre così gelosamente custodita, provava ancora una casta titubanza al pensiero dell’incerto avvenire.