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Il sacrificio di Ieronima 23


più triste adesso Ieronima; il dolore individuale si taceva nella sere- nità oggettiva dell’arte, ella aveva trovato ancora, dopo la lunga pri- vazione, quell’ intensa contentezza dello spirito che sembra assorbire tutte le facoltà dell'essere: ella sorrideva in un’ astrazione beata.

— « Se viene il sagrestano, ci sgrida tutti!» saltò su a dire il con- tadinotto, poco commosso da quel concerto, « la porticina è rimasta aperta a caso, perché l’ hanno chiamato in fretta, dopo le litanie... ma sono di guardia io!»

A nulla aveva pensato Ieronima fuori che a quella sua irresistibile passione di suonatrice. S’alzò come trasognata, mise una moneta in mano. al ragazzo, scese nella chiesa, s' inginocchiò davanti un altare e, tenendo Valdo per mano, gli fece recitare sommessamente alcune pre- ghiere; indi s'avviò di nuovo con lui, nell’ aperta campagna, ove can- tavano ancora gli usignuoli e le capinere fra le siepi, ove la brezza vivificante del pomeriggio scuoteva dagli alberi in fiore una piogge- rella di petali bianchi e rosa, mentre la luce calda del tramonto co- minciava a diffondersi sul pallido e immacolato azzurro del cielo.

Tornata a Firenze, nella tetra ed inospite casa di suo fratello, Ie- ronima si sentì ripiombare sul cuore una muta tristezza, ma subito i bambini reclamarono la sua vigile attenzione, ed essendo l'ora del de- sinare, ella si sedette amorosa a servirli, ad ammonirli che mangiassero ammodo.

— «Sandrino, tieni la forchetta più in su, e tu Roberto che sei grande, puoi prendere il bicchiere con una mano sola, adesso. An- diamo, Carluccio, non isbocconcellare il pane... Nena, come ti sei sbro- dolata ...», e via di seguito così. I piccini non rispondevano mai, i maggiori si lasciavano sfuggire qualche insolenza, a cui nè Serafina, nè Giordano badavano, e uno scoraggiamento profondo scendeva nell’ a- nimo della fanciulla.

Benché cresciuta in mezzo all’ Arte, Ieronima aveva l'istinto dell’ or- dine, non dell'ordine assoluto, pedante, intangibile che diviene talvolta il tiranno degli esseri positivi, ma di quello ch'è la proprietà e la bellezza morale della casa; vestiva con una certa disinvoltura geniale, ma portava sempre calzatura e guanti inappuntabili e da tutta la sua persona spirava sempre quella fragrante lindura che uno spirito raffinato esige, che dà anche l'abitudine della società più scelta. Era in lei un gusto innato e squisito delle cose, onde nella famiglia di Giordano tutto le urtava: la forma borghese dei mobili, già in parte sconnessi; i parati delle stanze a vivaci colori e fogliami; certe consuetudini radicate di gente volgare; [?...] l'educazione data ai bambini, la trascuratezza e l'inerzia di Serafina; perfino l'odore di