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244 impressioni e ricordi di bayreuth


per virtù del sorgente sole, comincia a rifulgere sopra uno scoglio, e l’irritato nano, desiste dalla collera del suo insuccesso, per contemplarne la luce sfavillanteatraverso lo spessore dell’acqua, gli rivelano ingenuamente il potere arcano che esso nasconde, gli narrano che soltanto colui il quale avrà per sempre rinunziato alla poesia ed all’amore, potrà rapirlo e costringerlo a tramutarsi in un magico anello.

Ormai disingannato sulle proprie attrattive, Alberico non esita a mettere a profitto l’insegnamento e, arrampicatosi con destrezza sullo scoglio, mentre le inconscie fanciulle si ridono di lui, maledice con un grido diabolico l’amore, strappa, imprecando, il tesoro dalla roccia e rapido scompare. Le tenebre invadono la scena, le onde si agitano e s’accavallano nere, sinistre ma è vano il lamentevole rimpianto delle ineperte ed inefficaci custodi, il nano è fuggito sehignazzando, come un demone, e nell’orchetra è un tumulto di cose che si sprofondano, travolte nell’abisso.

Già qui comincia a risplendere il simbolo, sotto il velo fantastico del mito, la lotta fra lo spirito e il senso e, nell’egoistico predominio del senso la rinunzia alle cose ideali della vita. Una cupa formola musicale, che allaccia anche il motivo dell’anello, caratterizza questa rinunzia che porterà seco in retaggio a più generazioni affanni, sventura e morte finché il mondo, presso a perire, ne sarà redento dal nobile sacrifizio della Valchiria.

A poco a poco la fitta nebbia si schiarisce, si dirada, si scioglie e lascia intravvedere un ridente paesaggio, un altipiano di montagna ove il monocolo Wotan, il Giove nordico, il dio e lo schiavo dai suoi patti, dorme con Fricka (Giunone) sopra un tappeto di fiori, attendendo che i Giganti abbiano compiuto, per suo ordine, la reggia, il Walhalla.

Già la fiera rocca s’erge altissima da lontano, nella luce del mattino, e il ritmo maestoso con cui s’apre questa scena, ne annunzia l’olimpica grandiosità,ma Wotan ha promesso ai Giganti in premio delle loro fatiche, Freia la bionda dea della luce e dell’amore e questo patto fatale, che Fricka disapprova, è il soggetto del dialogo dei due conjugi corrucciati, al destarsi dal lungo sonno, è l’ostacolo che si frappone alle delizie della nuova dimora.

Freia stessa, seguita poi dai fratelli Donner e Froh, non tarda a sopraggiungere chiedendo aiuto contro le insidie dei Giganti.

L’arrivo di Loge, lo scaltro dio del fuoco, che aveva percorso il mondo in traccia d’un compenso degno di sostituirsi a Frela, sembra portar consiglio alla perplessità di Wotan, suggerendo la conquista dell’oro del Reno.

Wotan però esita ancora, e resiste alle seducenti insinuazioni di Fricka che spera poter meglio dominare fra le gioje del Walhalla l’irrequieto spirito del suo infido consorte. I Giganti Fasolt e Fafner, due colossi vestiti di ruvide pelli e armati di tronchi d’albero, bramosi della pattuita. mercede, rapiscono Freia, ma colla bionda dea scompare l’elemento dell’eterna giovinezza: il paesaggio s’intorbida, i fiori s’illanguidiscono, il martello cade dalle mani di Donner, un’improvvisa mestizia senile scende sugli sparuti dei.

Colpito da sì funesti eventi Wotan finalmente si decide a seguire Loge nelle viscere della terra, soggiorno dei Nani, s’avvia con esso in una caverna e vi svanisce fra i vapori sulfurei che invadono poi gradatamente l’altipiano, e si tramutano in dense nubi nere, mentre Nibelheim la sotteranea dimora lenta ascende e si fa visibile.

Anche in questa scena molti nuovi leitmotive, risuonano e i già accennati s’affermano, si rincorrono, si sovrappongono, s’intrecciano ora tronchi, ora magistralmente svolti come le fila più importanti d’un magico tessuto. Sempre altamente psicologica, la musica non ha altro scopo che quello d’interpretare lo stato d’animo dei personaggi del dramma, nel loro rapporto coi fatti, e ove i fatti si condensano essa pure si piega, si modifica e si moltiplica per riflettere le diverse emozioni, come un diamante dalle sue varie faccette riverbera la luce.

Il leggiadro motivo di Freia ricorda la giovinezza, la poesia, gli slanci dell’anima, la parola lusinghiera di Fricka assetata d’amore fa scaturire di tratto in tratto uno sprazzo di limpida e toccante melodia; è geniale il racconto di Loge, sulle sue peregrinazioni per il mondo ove nulla potè trovare da sostituirsi alla bionda dea, e gli andamenti cromatici dell’orchestra, mirabili interpreti al volubile spirito del dio del fuoco, fanno continuo contrasto col tema pesante dei givanti, Il ritmo delle incudini dei Nibelungi che accompagna Wotan nel suo sotterraneo viaggio e che domina tutta la scena terza, ha la potenza beethoveniana, e produce sull’animo un senso di meraviglia quasi paurosa come si stesse dinanzi ad una mole gigantesca, come si leggesse un canto dell’Inferno.

In questa scena, la più fantastica del dramma, una figura nuova ci appare, superbamente disegnata ed efficace: il Nano albo Mime, re dei Nibelungi, specie di gnomo insidioso e vile che il malvagio e prepotente Alberico, suo fratello, ha conquiso e soggiogato col magico potere dell’anello, costringendolo continuamente a fondere nell’oro del Reno oggetti preziosi e talismani. L’ultimo suo lavoro é un elmo magico che trasforma; che rende invisibili e il servile artefice ne subisce gli effetti con delle sferzate che gli vengono nel vuoto da incognita mano.

Ma la scaltrezza di Loge vince tutti gl’incantesimi e in presenza di Wotan, profittando delle metamorfosi strane nelle quali Alberico si compiace, s’impadronisce di lui sotto la forma di rospo, gli strappa l’elmo e lo trascina, esasperato, nel mondo superiore al cospetto degli dei ansiosi.

La scena quarta riconduce perciò lo spettatore, all’altipiano, collo stesso mezzo delle