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Pagina:Turco - La fanciulla straniera.djvu/42

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40 la fanciulla straniera


Il suo amore era come ferito a morte, ma si rinfiammava per quella stessa ferita. All’amore di lui non poteva più credere: dinanzi una fiamma sì luminosa e pura esso le sembrava un gretto, oscillante lumicino. Pensava u che cosa ha amato in me se la parte mia migliore gli è repulsiva? se vuole che rinunzi in certo modo a me stessa per diventare un’altra? Tutti i miei ideali dovrebbero disperdersi in un’oziosa realtà. Chi sarei io? che cosa diverrei? l’oggetto passivo d’un amore che mi umilia, una signora alla moda che passa metà della giornata a studiare come si divertirà nell’altra metà, che si fa allevare da altri i figliuoli per bene adempiere a degli obblighi sociali molto discutibili, che sottrae una piccola parte del superfluo nel suo budget per darlo ai poveri che non conosce, una bambola foggiata secondo il criterio dell’uomo, un piccolo cuore da sfruttare finchè si spezza, un intelletto così soffocato da ridursi anche nella necessità incapace alla rivolta! E poi... la zia non vuole, me lo ha fatto capire chiaramente, non vuole. Varrebbe la pena che per un affetto così ligio ai pregiudizi io esponessi la mia dignità all’umiliazione di quest’angoscioso ostacolo? Ma dunque, non lo amo? Oh Dio santo, quanto, quanto lo amo!„

E all’improvviso, dinanzi all’impulso indomabile della passione, ogni difficoltà scompariva fra le più contraddicenti idee. Ella sentiva ancora la soavità infinita di quel bacio, l’unico che avesse mai dato, l’unico che nella sua austerità di creatura esclusiva le pareva di poter dare nella vita, se il destino la separava da Decio, e tutto quel tesoro di tenerezza e d’abnegazione che è nel fondo dell’anima femminile veniva a un tratto a galla col miraggio tentatore d’una sovrumana felicità. L’immaginazione, esaltandosi, le rappresentava al vivo le compiacenze d’una vita invidiata dal mondo, nel benessere d’un home signorile, comodo, elegante, al fianco d’un bel giovane geniale e innamorato, in quella città unica al mondo ch’è Roma.

Ma Anna aveva già sofferto troppo per non conoscere sè stessa e non poteva soggiacere a lungo all’inganno di quelle lusinghe. Ella sapeva che nulla poteva sostituire per lei le gioie del lavoro umanitario e dell’arte. Nel grave dibattito, ancora una volta, la sua forte tempra prevalse. E per mettersi al sicuro da ogni tentazione ella risolse d’affrettare la partenza e di comunicarne subito la notizia a donna Ortensia.

Il colloquio con Decio non era sfuggito alla vigilanza della madre premurosa, e all’apparire di Anna, incapace di frenare il proprio dispetto, ella disse subito: