Pagina:Turco - Oro e orpello.djvu/25

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minuto egli s’accorse ch’era un po’ smorta in viso e di sofferente aspetto.

Mentre quei signori che soleva chiamare i suoi vecchi amici e ch’erano infatti le reliquie della società in mezzo alla quale aveva vissuto nell’infanzia, stavano intenti ad una solenne partita di whist, e Miss Cox preparava gravemente il thè, la fanciulla, col pretesto di mostrargli certe fotografie di quadri moderni, lo trasse in disparte presso un tavolino sul quale si trovava uno splendido albo d’argento cesellato. E mentre il giovane osservava, col pensiero dolcemente distratto, le belle riproduzioni delle opere dei pittori scozzesi, Valeria, tutto a un tratto, gli disse:

— Stefanis... io ho la bugia in orrore... e pure... un giorno, con lei qui in questo salotto ho mentito... Fu, credo, l’unica menzogna della mia vita, me ne pento ora e me ne accuso...

— Non capisco... — rispose il giovane un poco turbato.

— Sì, pur troppo, ho mentito, — ripigliò Valeria — ma allora non ero in grado di parlare chiaramente. Non immagina di che si tratta? No? Ecco: le dissi che non avevo ricevuto alcuna lettera da... da quel signore, e non era vero. La lettera c’è... l’ho chiusa qui in questo cofanetto, l’ho serbata per lei, essa le appartiene.

E aprendo la serratura dorata d’un grazioso gingillo d’ebano intarsiato che giaceva lì presso, sopra una mensola, ne trasse un foglio di carta tutto spiegazzato e glielo porse.

— Allora non volevo che lo leggesse — soggiunse — adesso, invece, lo desidero. Ella vi troverà la ragione di tante cose.

— Se ben rammento — disse Stefanis — la signorina ricusò d’accettare lo scritto che le portavo... Non mi sarebbe lecito di fare altrettanto?

— No no. La cosa è assai diversa. Sia buono, Stefanis, prenda la lettera e la legga subito: ho bisogno di questa giustificazione.

Il giovane acconsentì con una certa riluttanza, ma un lampo di gioia rifulse sulla sua faccia sconvolta quando gli passarono sott’occhio le parole che si riferivano a lui.

A Valeria che lo studiava attentamente, quel fuggevole ma espressivo sorriso, non passò inosservato.

— È una lettera indegna! bruciamola subito — esclamò egli.

— No, Stefanis, la tenga lei in perpetuo ricordo. Non mi curo del giudizio acerbo che Valdusa fece su di me. Le avevo già detto che sono capricciosa, e non voglio nasconderlo.

Il giovane le rivolse un acuto sguardo come se volesse penetrare nel profondo e per lui delizioso mistero di quell’anima di fanciulla, e disse con grande dolcezza:

— Non vi è nulla che possa domare e vincere questa tendenza al capriccio di cui ella ama sì spesso accusarsi?