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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 271

de’ Ghibellini. Di Farinata degli liberti, e di Federigo IT, eroi de-lla sua fazione , che mi vennero nominati poc’ anzi , lascia intendere lodi che non offendevano né i popolani ricchi, né le città ribelli air Impero. - « Sicché non dica quelli degli Ubarti » ài. Firenze, né quelli di’ Visconti di Melano: perch’io sono » di cotale schiatta ; io sono nob’ile ; che il divino seme non » cade in ischiatta, cioè in istirpe, ma cade nelle singolari per- sone nobili : e, siccome di sotto si proverà, la stirpe non fa le s-ingulari persone nobili : ma « le singulari persone fanno no- » bile la stirpe ’. » - Ed è questione che occupa mezzo il vo- lume ; certo non senza perchè : e solamente per essa , e a de- ciderla in danno a’ patrizj viene allegata 1’ autorità imperiale di Federigo di Svevia fra testi di poeti, e filosofi, e della Scrit- tura. - « È da sapere, che Federigo di Soave , ultimo Impe- « radore delli Romani (ultimo dico, per rispetto al tempo pre- » sente; non ostante che Ridolfo, e Andolfo , e Alberto poi » eletti sieno appresso la sua morte, e de’ suoi discendenti), » domandato, che fosse gentilezza ? rispose : - eh’ era antica » ricc-hezza, e be’ costumi. - E dico, che altri fu di più lieve » sapere; che pensando e rivolgendo questa difinizione in ogni » parte, levò via 1’ ultima particola, cioè i belli costumi; e ten- >^ nesi alla prima, cioè all’antica ricchezza. E secondochè il te- » sto par dubitare, forse per non avere i belli costumi , non » volendo perdere il nome di gentilezza, difinio quella, secon- » dochè per lui faceva, cioè possessione d’ antica ricchezza. E » dico, che questa opinione è quasi di tutti coloro che fanno » altrui gentile, per essere di progenie lungamente stata ricca; » con ciò sia cosa che quasi tutti cosi latrano ^, »

CXIX. Pur nel Poema alcuni suoi concittadini della passata generazione d’ antico legnaggio, sono dannati per sozzo pec- cato a calcare la sabbia rovente, battuti da pioggia continua di fiamme; e il poeta struggesi d’abbracciarli: —

Di vostra terra sono: e sempre mai L’ovra di voi, e gli onorati nomi Con affezion ritrassi e ascoltai.

E un d’essi lo interroga:

Cortesia e valor, di’, se dimora Nella nostra città, si come suole, gè del tutto se n’ è ito fuora?

La risposta di Dante, meno prudente che nel Convito, fulmina i cittadini « di progenie non lungamente stata ricca: »

La gente nuora, e i subiti guadagni, Orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten’ piagni:

1 ConvUo, pag. 248.

2 Ivi, pagg. 196, 197.


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