Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/8

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6 prefazione.

dissima del suo passaggio sulla terra, non può non avere danneggiato e promosso a un tempo stesso le fortune di molti; ma egli segue la sua via, non mai deviando gli occhi dalla meta che vuole raggiungere a costo della sua pace ed anche della vita. Gli uomini di guerra che mettono in atto un’idea lungamente fomentata dai pensatori, fanno più sensibili le ferite da loro aperte e le medicine somministrate, perchè d’un effetto immediato; laddove gli scrittori che precorrono sempre col pensiero l’azione, non abbagliano quanto i primi, ma il beneficio delle loro menti non è meno efficace, e si estende e dura di più. Lo scrittore veramente grande vede tutte le deformità, tutto il vecchiume dell’umano consorzio, nel quale è costretto a vivere, e sente il bisogno e la possibilità di rinnovare, perchè la divina scintilla del suo pensiero gli rischiara le fitte tenebre dell’avvenire, e gli addita la via che lo ravvicina al porlo da lui solo veduto. Ma in quanti interessi, in quanti pregiudizj, in quanti errori non vibra i suoi colpi demolitori? Quanta tempesta di passioni violentissime non deve suscitare nel cuore dei più? Gli uomini che ne intendono le rette ragioni, sono in ogni tempo pochissimi, e non bastano a lottare contro la prepotenza dei molti. Indi avviene che lo scrittore eminente, il banditore imperterrito di nuove idee e di una vita nuova, benché ammirato quasi per intuito nelle sue pratiche virtù e nel suo divino intelletto dalla moltitudine inerte, rimanga sopraffatto dall’egoismo brutale dei potenti interessati che ne temono l’apostolato. E l’incendio delle contrarie passioni, fomentato dalla feconda parola del grande scrittore, non si spegne se non dopo molti e molti secoli, finché non rimanga più alcuna traccia delle instituzioni che fiorivano a’ suoi tempi, e non siano sradicati, dispersi gli errori, e instaurata nella sua nazione un’èra novella.

Il Foscolo fu uno di quei grandissimi uomini, che, accoppiando a un ingegno strapotente un’anima indomita e piena delle più soavi e più violente passioni, sentiva in modo straordinario l’amore della libertà, voleva la grandezza vera della sua patria adottiva, l’Italia, e solo, direi, fra tanti chiarissimi ingegni del suo tempo, ammaestrato alla scuola dei due insigni maestri, Dante e il Machiavelli, prevedeva la possibilità dell’unità italiana. Ei la voleva libera dalle sètte e dagli stranieri, ei la voleva grande