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nute delle bollacce, che stentavano a risecchirsi; e Moschino, per mitigare lo spasimo, vi cacciava dentro le unghie, e faceva peggio.

Rita corse piangendo dalla mamma, e le fece vedere il topino. La mamma la consolò, e le promise di chiamare un veterinario. Il veterinario disse che bisognava radere il pelo, lavar bene Moschino con acqua di crusca e ungerlo tutte le sere, prima d’andare a letto, con unguento di zolfo canforato.

Povero Moschino! La contessa se lo prese su le ginocchia, gli mise un asciugamano sotto, e, con un paio di forbicine da ricamo, cominciò a levar via quel bel pelino leggiero, che parea proprio una seta. Moschino gridò per un poco; ma alla fine si rassegnò, s’accovacciò con la testolina inclinata da una parte, e lasciò che gli facessero quel che volevano.

Povero Moschino! Com’era brutto così, con la pelle rossiccia che gli si vedeva, spelac-