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capitolo quinto. | 85 |
sava Dodò ― i libri a’ padroni. Ora ti concio io! ― Pian pianino, ritirando le unghie, senza pur toccare il legno con le zampe, Dodò striscia da quella parte dove il rumore si facea più distinto, e arriva in tempo per vedere una manaccia pelosa che pendeva sopra un volume. Fece un balzo di quelli come non ne aveva fatti più da molti mesi, e i suoi quattro dentini, lunghi e acuti come aghi, si ficcarono fino all’osso in un dito del malcapitato.
― Ahi! ahi! ― si mise a gridare colui ― ma che tengono qui dentro? che cos’è quella bestia? ―
Il conte entrava appunto in quel momento.
― Che ha? che le accade? ― gridò subito al visitatore.
― Ma guardi un po’ che m’ha fatto quella bestiaccia! Un cane, proprio un canaccio di strada! O che pare un morso di un topo questo? Guardi come fila il sangue....
― Mi dispiace, mi dispiace davvero.... ―