Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/140

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migliore cristiano che non sei tu." "Sia come volete voi", replicò il calzolaio, "io diceva così perciò che, oltre che voi sete tenuti e conosciuti per ebrei da ognuno, queste vostre arie, che non sono del paese, mel raffermavano." "Non più", disse Cristofano, "ti parrà che noi facciamo opere da cristiani." Ma per tornare all’opera, arrivato il Vasari in Bologna, non passò un mese che egli disegnando e Cristofano e Battista abbozzando le tavole con i colori, elle furono tutte e tre fornite d’abbozzare con molta lode di Cristofano, che in ciò si portò benissimo. Finite di abbozzare le tavole, si mise mano al fregio, il quale se bene doveva tutto da sé lavorare Cristofano, ebbe compagnia: perciò che, venuto da Camaldoli a Bologna Stefano Veltroni dal Monte San Savino, cugino del Vasari, che avea abbozzata la tavola del Deposto, fecero ambidue quell’opera insieme e tanto bene, che riuscì maravigliosa. Lavorava Cristofano le grottesche tanto bene, che non si poteva veder meglio, ma non dava loro una certa fine che avesse perfezzione. E per contrario Stefano mancava d’una certa finezza e grazia, perciò che le pennellate non facevano a un tratto restare le cose ai luoghi loro, onde perché era molto paziente, se ben durava più fatica, conduceva finalmente le sue grottesche con più diligenza e finezza. Lavorando dunque costoro a concorrenza l’opera di questo fregio, tanto faticarono l’uno e l’altro, che Cristofano imparò a finire da Stefano e Stefano imparò da lui a essere più fino e lavorare da maestro. Mettendosi poi mano ai festoni grossi, che andavano a mazzi intorno alle finestre, il Vasari ne fece uno di sua mano, tenendo innanzi frutte naturali per ritrarle dal vivo, e ciò fatto, ordinò che tenendo il medesimo modo, Cristofano e Stefano seguitassono il rimanente, uno da una banda e l’altro dall’altra della finestra; e così a una a una l’andassono finendo tutte, promettendo a chi di loro meglio si portasse nel fine dell’opera un paio di calze di scarlatto. Per che, gareggiando amorevolmente costoro per l’utile e per l’onore, si misero dalle cose grande a ritrarre insino alle minutissime, come migli, panichi, ciocche di finocchio et altre simili, di maniera che furono que’ festoni bellissimi et ambidue ebbero il premio delle calze di scarlatto dal Vasari, il quale si affaticò molto perché Cristofano facesse da sé parte di disegni delle storie, che andarono nel fregio, ma egli non volle mai. Onde mentre che Giorgio gli faceva da sé, condusse i casamenti di due tavole con grazia e bella maniera, a tanta perfezzione, che un maestro di gran iudizio, ancor che avesse avuto i cartoni innanzi, non arebbe fatto quello che fece Cristofano, e di vero, non fu mai pittore che facesse da sé, e senza studio, le cose che a costui venivano fatte. Avendo poi finito di tirare innanzi i casamenti delle due tavole, mentre che il Vasari conduceva a fine le venti storie dell’Apocalisse per lo detto fregio, Cristofano nella tavola dove San Gregorio (la cui testa è il ritratto di papa Clemente VII) mangia con que’ dodici poveri, fece Cristofano tutto l’apparecchio del mangiare molto vivamente e naturalissimo. Essendosi poi messo mano alla terza tavola, mentre Stefano facea mettere d’oro l’ornamento delle altre due, si fece sopra due capre di legno un ponte in sul quale, mentre il Vasari lavorava da una banda in un sole i tre Angeli che apparvero ad Abraam nella valle Mambre, faceva dall’altra banda Cristofano certi casamenti. Ma perché egli faceva sempre qualche trabiccola di predelle, deschi e tal volta di catinelle a rovescio e pentole, sopra le quali saliva, come uomo a caso che egli era, avvenne