Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/227

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pittore cremonese, che avea lavorata quella tribuna a fresco, un Cristo, che sedendo in trono et in mezzo a quattro Santi, dà la benedizione. Per che, piaciutagli quell’opera, si acconciò, per mezzo d’alcuni amici, con esso Boccaccino, il quale allora lavorava nella medesima chiesa pur a fresco alcune storie della Madonna, come si è detto nella sua vita, a concorrenza di Altobello pittore, il quale lavorava nella medesima chiesa dirimpetto a Boccaccino alcune storie di Gesù Cristo, che sono molto belle e veramente degne di essere lodate. Essendo dunque Benvenuto stato due anni in Cremona et avendo molto acquistato sotto la disciplina di Boccaccino, se n’andò d’anni diciannove a Roma l’anno 1500, dove postosi con Giovanni Baldini pittor fiorentino, assai pratico, et il quale aveva molti bellissimi disegni di diversi maestri eccellenti, sopra quelli, quando tempo gl’avanzava e massimamente la notte, si andava continuamente esercitando. Dopo, essendo stato con costui quindici mesi et avendo veduto con molto suo piacere le cose di Roma, scorso che ebbe un pezzo per molti luoghi d’Italia, si condusse finalmente a Mantova, dove appresso Lorenzo Costa pittore stette due anni, servendolo con tanta amorevolezza, che colui per rimunerarlo lo acconciò in capo a due anni con Francesco Gonzaga marchese di Mantoa, col quale anco stava esso Lorenzo. Ma non vi fu stato molto Benvenuto, che amalando Piero suo padre in Ferrara, fu forzato tornarsene là, dove stette poi del continuo quattro anni lavorando molte cose da sé solo et alcune in compagnia de’ Dossi. Mandando poi l’anno 1505 per lui Messer Ieronimo Sagrato, gentiluomo ferrarese, il quale stava in Roma, Benvenuto vi tornò di bonissima voglia e massimamente per vedere i miracoli che si predicavano di Raffaello da Urbino e della cappella di Giulio stata dipinta dal Buonarroto. Ma giunto Benvenuto in Roma, restò quasi disperato, non che stupito nel vedere la grazia e la vivezza che avevano le pitture di Raffaello e la profondità del disegno di Michelagnolo, onde malediva le maniere di Lombardia e quella che avea con tanto studio e stento imparato in Mantoa, e volentieri, se avesse potuto, se ne sarebbe smorbato. Ma poi che altro non si poteva, si risolvé a volere disimparare e, dopo la perdita di tanti anni, di maestro divenire discepolo. Per che, cominciato a disegnare di quelle cose che erano migliori e più difficili, et a studiare con ogni possibile diligenza quelle maniere tanto lodate, non attese quasi ad altro per ispazio di due anni continui. Per lo che mutò in tanto la pratica e la maniera cattiva in buona, che n’era tenuto dagl’artefici conto; e, che fu più, tanto adoperò col sottomettersi e con ogni qualità d’amorevole ufficio, che divenne amico di Raffaello da Urbino, il quale, come gentilissimo e non ingrato, insegnò molte cose, aiutò e favorì sempre Benvenuto; il quale, se avesse seguitato la pratica di Roma, senz’alcun dubbio arebbe fatto cose degne del bell’ingegno suo. Ma perché fu costretto, non so per qual accidente, tornare alla patria, nel pigliare licenza da Raffaello gli promise, secondo che egli il consigliava, di tornare a Roma, dove l’assicurava Raffaello che gli darebbe più che non volesse da lavorare et in opere onorevoli. Arrivato dunque Benvenuto in Ferrara, assettato che egli ebbe le cose e spedito la bisogna che ve l’aveva fatto venire, si metteva in ordine per tornarsene a Roma, quando il signor Alfonso duca di Ferrara lo mise a lavorare nel castello,