Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/345

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accettate, perciò che non si deve nelle concorrenzie, da chi vuole alcuno superare, mettere in mano il valore della sua virtù e fidarlo a persone deboli, però che si va a perdita manifesta. Conobbe adunque il cardinale Sant’Agnolo, uomo veramente di sommo giudizio in tutte le cose e di somma bontà, quanto aveva perduto nella morte del Salviati; imperò che, se bene era superbo, altiero e di mala natura, era nelle cose della pittura veramente eccellentissimo. Ma tuttavia essendo mancati in Roma i più eccellenti si risolvé quel signore, non ci essendo altri, di dare a dipignere la sala maggiore di quel palazzo a Taddeo, il quale la prese volentieri, con speranza di avere a mostrare con ogni sforzo quanta fusse la virtù e saper suo. Aveva già Lorenzo Pucci fiorentino cardinal Santiquattro fatta fare nella Trinità una capella e dipignere da Perino del Vaga tutta la volta, e fuori certi Profeti, con due putti che tenevano l’arme di quel cardinale. Ma essendo rimasa imperfetta e mancando a dipignersi tre facciate, morto il cardinale, que’ padri senza aver rispetto al giusto e ragionevole, venderono all’arcivescovo di Corfù la detta capella, che fu poi data dal detto Arcivescovo a dipignere a Taddeo. Ma quando pure per qualche cagione e rispetto della chiesa fusse stato ben fatto trovar modi di finire la capella, dovevano, almeno in quella parte che era fatta, non consentire che si levasse l’arme del Cardinale per farvi quella del detto Arcivescovo, la quale potevano mettere in altro luogo e non far ingiuria così manifesta alla buona mente di quel Cardinale. Per aversi dunque Taddeo tant’opere alle mani, ogni dì sollecitava Federigo a tornarsene da Venezia, il quale Federigo, dopo aver finita la capella del patriarca, era in pratica di tòrre a dipignere la facciata principale della sala grande del consiglio, dove già dipinse Antonio Viniziano. Ma le gare e le contrarietà che ebbe dai pittori veniziani furno cagione che non l’ebbero né essi con tanti lor favori, né egli parimente. In quel mentre Taddeo, avendo disiderio di vedere Fiorenza e le molte opere che intendeva avere fatto e fare tuttavia il duca Cosimo et il principio della sala grande che faceva Giorgio Vasari amico suo, mostrando una volta d’andare a Caprarola in servizio dell’opera che vi faceva, se ne venne, per un San Giovanni, a Fiorenza, in compagnia di Tiberio Calcagni, giovane scultore et architetto fiorentino, dove oltre la città gli piacquero infinitamente l’opere di tanti scultori e pittori eccellenti, così antichi come moderni; e se non avesse avuto tanti carichi e tante opere alle mani, vi si sarebbe volentieri trattenuto qualche mese. Avendo dunque veduto l’apparecchio del Vasari per la detta sala, cioè quarantaquattro quadri grandi, di braccia quattro, sei, sette e dieci l’uno, nei quali lavorava figure per la maggior parte di sei et otto braccia, e con l’aiuto solo di Giovanni Strada fiamingo et Iacopo Zucchi, suoi creati, e Battista Naldini, e tutto essere stato condotto in meno d’un anno, n’ebbe grandissimo piacere e prese grand’animo; onde, ritornato a Roma, messe mano alla detta capella della Trinità, con animo d’avere a vincere se stesso nelle storie che vi andavano di Nostra Donna, come si dirà poco appresso. Ora Federigo, se bene era sollecitato a tornarsene da Vinezia, non poté non compiacere e non starsi quel carnovale in quella città in compagnia d’Andrea Palladio architetto, il quale avendo fatto alli signori della Compagnia della Calza un