Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/55

Da Wikisource.

di carta pesta e voto dentro. Il peso del qual cavallo era retto da un’armadura di ferro e sopra esso era la statua di esso imperador armato all’antica con lo stocco in mano, e sotto aveva tre figure grandi, come vinte da lui, le quali anche sostenevano parte del peso, essendo il cavallo in atto di saltare e con le gambe dinanzi alte in aria, e le dette tre figure rapresentavano tre provincie state da esso imperador domate e vinte. Nella quale opera mostrò Domenico non intendersi meno della scultura che si facesse della pittura. A che si aggiugne che tutta quest’opera aveva messa sopra un castel di legname alto quattro braccia, con un ordine di ruote sotto, le quali mosse da uomini dentro, erano fatte caminare. Et il disegno di Domenico era che questo cavallo, nell’entrata di Sua Maestà, essendo fatto andare come s’è detto, l’accompagnasse dalla porta infino al palazzo de’ Signori e poi si fermasse in sul mezzo della piazza. Questo cavallo, essendo stato condotto da Domenico a fine, che non gli mancava se non esser messo d’oro, si restò a quel modo, perché Sua Maestà per allora non andò altrimenti a Siena, ma coronatasi in Bologna si partì d’Italia e l’opera rimase imperfetta. Ma nondimeno fu conosciuta la virtù et ingegno di Domenico, e molto lodata da ognuno l’eccellenza e grandezza di quella machina, la quale stette nell’Opera del Duomo da questo tempo insino a che, tornando Sua Maestà dall’impresa d’Africa vittoriosa, passò a Messina e di poi a Napoli, Roma e finalmente a Siena, nel qual tempo fu la detta opera di Domenico messa in sulla piazza del Duomo, con molta sua lode. Spargendosi dunque la fama della virtù di Domenico, il prencipe Doria, che era con la corte, veduto che ebbe tutte l’opere che in Siena erano di sua mano, lo ricercò che andasse a lavorare a Genova nel suo palazzo, dove avevano lavorato Perino del Vaga, Giovan Antonio da Pordenone e Girolamo da Trevisi. Ma non poté Domenico prometter a quel signore d’andare a servirlo allora, ma sì bene altra volta, per avere in quel tempo messo mano a finir nel Duomo una parte del pavimento di marmo, che già Duccio pittor sanese aveva con nuova maniera di lavoro cominciato. E perché già erano le figure e storie in gran parte disegnate in sul marmo, et incavati i dintorni con lo scarpello e ripieni di mistura nera, con ornamenti di marmi colorati attorno, e parimente i campi delle figure, vidde con bel giudizio Domenico che si potea molto quell’opera migliorare, per che, presi marmi bigi, acciò facessino nel mezzo dell’ombre, accostate al chiaro del marmo bianco e profilate con lo scarpello, trovò che in questo modo col marmo bianco e bigio si potevano fare cose di pietra a uso di chiaro scuro perfettamente. Fattone dunque saggio, gli riuscì l’opera tanto bene e per l’invenzione e per lo disegno fondato e copia di figure, che egli a questo modo diede principio al più bello et al più grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto, e ne condusse a poco a poco mentre che visse una gran parte. D’intorno all’altare maggiore fece una fregiatura di quadri, nella quale, per seguire l’ordine delle storie state cominciate da Duccio, fece istorie del Genesi, cioè Adamo et Eva, che sono cacciati del Paradiso e lavorano la terra; il sagrifizio d’Abel e quello di Melchisedech. E dinanzi all’altare è in una storia grande Abraam che vuole sacrificare Isaac, e questa ha intorno una fregiatura di mezze figure, le quali portando varii animali, mostrano