Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/629

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Feci in questo medesimo tempo due tavolette d’un Cristo morto e d’una Ressurrezzione, le quali furono da don Miniato Pitti abate poste nella chiesa di Santa Maria di Barbiano fuor di San Gimignano di Valdelsa; le quali opere finite, tornai subito a Fiorenza, perciò che il Trevisi, maestro Biagio et altri pittori bolognesi, pensando che io mi volessi acasare in Bologna e torre loro di mano l’opere et i lavori, non cessavano d’inquietarmi, ma più noiavano loro stessi che me, il quale di certe lor passioni e modi mi rideva. In Firenze adunque copiai da un ritratto grande infino alle ginocchia un cardinale Ipolito a Messer Ottaviano, et altri quadri con i quali mi andai trattenendo in que’ caldi insoportabili della state. I quali venuti, mi tornai alla quiete e fresco di Camaldoli, per fare la detta tavola dell’altar maggiore. Nella quale feci un Cristo che è deposto di croce, con tutto quello studio e fatica che maggiore mi fu possibile; e perché col fare e col tempo mi pareva pur migliorare qualche cosa, né mi sodisfacendo della prima bozza, gli ridetti di mestica e la rifeci quale la si vede di nuovo tutta. Et invitato dalla solitudine, feci in quel medesimo luogo dimorando un quadro al detto Messer Ottaviano, nel quale dipinsi un San Giovanni ignudo e giovinetto, fra certi scogli e massi e che io ritrassi dal naturale di que’ monti. Né a pena ebbi finite quest’opere, che capitò a Camaldoli Messer Bindo Altoviti, per fare dalla cella di Santo Alberigo, luogo di que’ padri, una condotta a Roma per via del Tevere, di grossi abeti, per la fabrica di San Piero; il quale veggendo tutte l’opere da me state fatte in quel luogo, e per mia buona sorte piacendogli, prima che di lì partisse, si risolvé che io gli facessi per la sua chiesa di Santo Apostolo di Firenze una tavola. Per che finita quella di Camaldoli con la facciata della cappella in fresco, dove feci esperimento di unire il colorito a olio con quello, e riuscimmi assai acconciamente, me ne venni a Fiorenza e feci la detta tavola. E perché aveva a dare saggio di me a Fiorenza, non avendovi più fatto somigliante opera, aveva molti concorrenti e desiderio di acquistare nome, mi disposi a volere in quell’opera far il mio sforzo e mettervi quanta diligenza mi fusse mai possibile. E per potere ciò fare scarico di ogni molesto pensiero, prima maritai la mia terza sorella e comperai una casa principiata in Arezzo, con un sito da fare orti bellissimi nel borgo di San Vito, nella miglior aria di quella città. D’ottobre adunque l’anno 1540 cominciai la tavola di Messer Bindo, per farvi una storia che dimostrassi la Concezione di Nostra Donna, secondo che era il titolo della cappella. La qual cosa perché a me era assai malagevole, avutone Messer Bindo et io il parere di molti comuni amici, uomini litterati, la feci finalmente in questa maniera: figurato l’albero del peccato originale nel mezzo della tavola, alle radici di esso come primi trasgressori del comandamento di Dio feci ignudi Adamo et Eva, e dopo agl’altri rami feci legati di mano in mano Abram, Isac, Iacob, Moisè, Aron, Iosuè, Davit, e gl’altri Re successivamente secondo i tempi, tutti dico legati per ambedue le braccia, eccetto Samuel e S. Giovanni Batista i quali sono legati per un solo braccio, per essere stati santificati nel ventre. Al tronco dell’albero feci avvolto con la coda l’antico serpente, il quale, avendo dal mezzo in su forma umana, ha le mani legate di dietro; sopra il capo gli ha un piede, calcandogli le corna, la gloriosa Vergine, che l’altro tiene sopra una luna, essendo vestita di sole e coronata di dodici stelle.