Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/631

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in mia compagnia Batista Cungi, e Cristofano Gherardi dal Borgo S. Sepolcro, e Bastiano Flori aretino molto valenti e pratichi, di che si è in altro luogo ragionato a bastanza, e gli nove quadri di pittura nel palazzo di Messer Giovanni Cornaro, cioè nel soffittato d’una camera del suo palazzo, che è da San Benedetto. Dopo queste et altre opere di non piccola importanza che feci allora in Vinezia, me ne partii, ancor che io fussi soprafatto dai lavori che mi venivano per le mani, alli sedici d’agosto l’anno 1542, e tornaimene in Toscana dove, avanti che ad altro volessi por mano, dipinsi nella volta d’una camera, che di mio ordine era stata murata nella già detta mia casa, tutte l’arti che sono sotto il disegno o che da lui dependono; nel mezzo è una Fama, che siede sopra la palla del mondo e suona una tromba d’oro, gettandone via una di fuoco finta per la Maledicenza, et intorno a lei sono con ordine tutte le dette arti con i loro strumenti in mano. E perché non ebbi tempo a far il tutto, lasciai otto ovati per fare in essi otto ritratti di naturale de’ primi delle nostre arti. Ne’ medesimi giorni feci alle monache di Santa Margherita di quella città, in una cappella del loro orto, a fresco una Natività di Cristo di figure grandi quanto il vivo. E così consumata che ebbi nella patria il resto di quella state e parte dell’autunno, andai a Roma. Dove essendo dal detto Messer Bindo ricevuto e molto carezzato, gli feci in un quadro a olio un Cristo quanto il vivo levato di croce e posto in terra a’ piedi della madre, e nell’aria Febo che oscura la faccia del sole e Diana quella della luna. Nel paese poi, oscurato da queste tenebre, si veggiono spezzarsi alcuni monti di pietra, mossi dal terremoto che fu nel patir del Salvatore; e certi morti corpi di Santi si veggiono, risorgendo, uscire de’ sepolcri in varii modi. Il quale quadro finito che fu, per sua grazia non dispiacque al maggior pittore, scultore et architetto che sia stato a’ tempi nostri e forse de’ nostri passati; per mezzo anco di questo quadro, fui, mostrandogliele il Giovio e Messer Bindo, conosciuto dall’illustrissimo cardinale Farnese, al quale feci sì come volle, in una tavola alta otto braccia e larga quattro, una Iustizia che abbraccia uno struzzo, carico delle dodici tavole, e con lo scettro che ha la cicogna in cima; et armata il capo d’una celata di ferro e d’oro, con tre penne, impresa del giusto giudice, di tre variati colori, era nuda tutta dal mezzo in su; alla cintura ha costei legati, come prigioni, con catene d’oro i sette Vizii che a lei sono contrarii: la Corruzione, l’Ignoranza, la Crudeltà, il Timore, il Tradimento, la Bugia e la Maledicenza; sopra le quali è posta in sulle spalle la Verità tutta nuda, offerta dal Tempo alla Iustizia, con un presente di due colombe fatte per l’Innocenza; alla quale Verità mette in capo essa Iustizia una corona di quercia per la Fortezza dell’animo. La quale tutta opera condussi con ogni accurata diligenza, come seppi il meglio. Nel medesimo tempo, facendo io gran servitù a Michelagnolo Buonarruoti e pigliando da lui parere in tutte le cose mie, egli mi pose per sua bontà molta più affezione, e fu cagione il suo consigliarmi a ciò, per avere veduto alcuni disegni miei, che io mi diedi di nuovo e con miglior modo allo studio delle cose d’architettura; il che per aventura non arei fatto già mai, se quell’uomo eccellentissimo non mi avesse detto quel che mi disse, che per modestia lo taccio. Il San Pietro seguente, essendo grandissimi caldi in Roma, et avendo lì