Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/97

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il vedere le cose di Roma maggiori et il praticare cogli artefici che sono quivi eccellentissimi, gli apporterebbe gran frutto; però porgendosi occasione d’andarvi, la prese volentieri. Era venuto Francesco Bandini da Roma, amicissimo di Michelagnolo Buonarroti; costui per mezzo di Luca Martini conosciuto il Vinci, e lodatolo molto, gli fece fare un modello di cera d’una sepoltura, la quale voleva fare di marmo alla sua cappella in Santa Croce, e poco dopo, nel suo ritorno a Roma, perciò che il Vinci aveva scoperto l’animo suo a Luca Martini, il Bandino lo menò seco, dove studiando tuttavia dimorò un anno e fece alcune opere degne di memoria. La prima fu un Crocifisso di basso rilievo, che rende l’anima al Padre, ritratto da un disegno fatto da Michelagnolo. Fece al cardinal Ridolfi un petto di bronzo per una testa antica et una Venere di basso rilievo di marmo, che fu molto lodato. A Francesco Bandini racconciò un cavallo antico, al quale molti pezzi mancavano e lo ridusse intero. Per mostrare ancora qualche segno di gratitudine, dove egli poteva, inverso Luca Martini, il quale gli scriveva ogni spaccio e lo raccomandava di continovo al Bandino, parve al Vinci di far di cera tutto tondo e di grandezza di dua terzi il Moisè di Michelagnolo, il quale è in San Piero in Vincola alla sepoltura di papa Giulio Secondo, che non si può vedere opera più bella di quella. Così fatto di cera il Moisè, lo mandò a donare a Luca Martini. In questo tempo che ’l Vinci stava a Roma e le dette cose faceva, Luca Martini fu fatto dal Duca di Firenze proveditore di Pisa, e nel suo ufficio non si scordò dell’amico suo, per che scrivendogli che gli preparava la stanza e provvedeva un marmo di tre braccia, sì che egli se ne tornasse a suo piacere, perciò che nulla gli mancherebbe appresso di lui, il Vinci da queste cose invitato e dall’amore che a Luca portava, si risolvé a partirsi di Roma e per qualche tempo eleggere Pisa per sua stanza, dove stimava d’avere occasione d’esercitarsi e di fare sperienza della sua virtù. Venuto addunque in Pisa, trovò che ’l marmo era già nella stanza, acconcio secondo l’ordine di Luca, e cominciando a volerne cavare una figura in piè, s’avvedde che ’l marmo aveva un pelo, il quale lo scemava un braccio. Per lo che risoluto a voltarlo a giacere, fece un fiume giovane che tiene un vaso che getta acqua, et è il vaso alzato da tre fanciulli, i quali aiutano a versare l’acqua il fiume e sotto i piedi a lui molta copia d’acqua discorre, nella quale si veggono pesci guizzare et uccelli acquatici in varie parti volare. Finito questo fiume, il Vinci ne fece dono a Luca, il quale lo presentò alla Duchessa et a lei fu molto caro perché allora, essendo in Pisa don Grazzia di Tolledo suo fratello venuto con le galee, ella lo donò al fratello, il quale con molto piacere lo ricevette per le fonti del suo giardino di Napoli a Chiaia. Scriveva in questo tempo Luca Martini sopra la Commedia di Dante alcune cose et avendo mostrata al Vinci la crudeltà descritta da Dante, la quale usorono i Pisani e l’arcivescovo Ruggeri contro al conte Ugolino della Gherardesca, facendo lui morire di fame con quattro suoi figliuoli nella torre, perciò cognominata della fame, porse occasione e pensiero al Vinci di nuova opera e di nuovo disegno. Però, mentre che ancora lavorava il sopra detto fiume, messe mano a fare una storia di cera per gettarla di bronzo alta più d’un braccio e larga tre quarti, nella quale fece due de’ figliuoli del conte morti, uno