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Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 1-2, 1568.djvu/217

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VITA DI GIOTTO 121

(versione diplomatica)


(versione critica)


tutta la vita di quel Santo divisa in più quadri: e nel palazzo della Parte Guelfa di Firenze, è di sua mano una storia della fede cristiana in fresco dipinta perfettamente; et in essa è il ritratto di papa Clemente Quarto il quale creò quel magistrato, donandogli l’arme sua, la qual egli ha tenuto sempre e tiene ancora. Dopo queste cose, partendosi di Firenze per andare a finir in Ascesi l’opere cominciate da Cimabue, nel passar per Arezzo dipinse nella Pieve la capella di S. Francesco ch’è sopra il battesimo, e in una colonna tonda vicino a un capitello corintio et antico e bellissimo, un S. Francesco e un S. Domenico ritratti di naturale, e nel Duomo fuor d’Arezzo una capelluccia, dentrovi la lapidazione di S. Stefano, con bel componimento di figure. Finite queste cose, si condusse in Ascesi città dell’Umbria, essendovi chiamato da fra’ Giovanni di Muro della Marca allora Generale de’ frati di S. Francesco, dove nella chiesa di sopra dipinse a fresco sotto il corridore che attraversa le finestre, dai due lati della chiesa, trentadue storie della vita e fatti di S. Francesco, cioè sedici per facciata, tanto perfettamente, che ne acquistò grandissima fama. E nel vero, si vede in quell’opera gran varietà non solamente nei gesti et attitudini di ciascuna figura, ma nella composizione ancora di tutte le storie; senzachè fa bellissimo vedere la diversità degli abiti di que’ tempi, e certe imitazioni et oservazioni delle cose della natura. E fra l’altre è bellissima una storia, dove uno assetato, nel quale si vede vivo il desiderio dell’acque, bee stando chinato in terra a una fonte, con grandissimo e veramente maraviglioso affetto, in tanto che par quasi una persona viva che bea. Vi sono anco molte altre cose dignissime di considerazione, nelle quali per non esser lungo non mi distendo altrimenti. Basti che tutta questa opera acquistò a Giotto fama grandissima, per la bontà delle figure, e per l’ordine, proporzione, vivezza e facilità che egli aveva dalla natura e che aveva mediante lo studio fatto molto maggiore e sapeva in tutte le cose chiaramente dimostrare. E perchè, oltre quello che aveva Giotto da natura, fu studiosissimo, et andò sempre nuove cose pensando e dalla natura cavando, meritò d’esser chiamato discepolo della natura, e non d’altri. Finite le sopra dette storie, dipinse nel medesimo luogo, ma nella chiesa di sotto, le facciate di sopra dalle bande dell’altar maggiore, e tutti quattro gl’angoli della volta di sopra, dove è il corpo di S. Francesco, e tutte con invenzioni capricciose e belle: nella prima è S. Francesco glorificato in cielo con quelle virtù intorno, che a voler esser perfettamente nella grazia di Dio sono richieste; da un lato l’Ubidienza mette al collo d’un frate, che le sta inanzi ginocchioni, un giogo, i legami del quale sono tirati da certe mani al cielo, e mostrando, con un dito alla bocca, silenzio, ha gl’occhi a Gesù Cristo che versa sangue dal costato; et in compagnia di questa virtù sono la Prudenza e l’Umiltà, per dimostrare che dove è veramente l’ubidienza, è sempre l’umiltà e la prudenza che fa bene operare ogni cosa. Nel secondo angolo è la Castità, la quale standosi in una fortissima ròcca, non si lascia vincere nè da regni, nè da corone, nè da palme che alcuni le presentano; a’ piedi di costei è la Mondizia che lava persone nude, e la Fortezza va conducendo genti a lavarsi e mondarsi. Appresso alla Castità è da un lato la Penitenza che caccia Amore alato con una disciplina, e fa fuggire la Imondizia. Nel terzo luogo è la Povertà, la quale va coi