Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 1-2, 1568.djvu/218

Da Wikisource.
122 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


piedi scalzi calpestando le spine; ha un cane che le abbaia dietro, e intorno un putto che le tira sassi, et un altro che le va accostando con un bastone certe spine alle gambe; e questa Povertà si vede esser quivi sposata a S. Francesco, mentre Gesù Cristo le tiene la mano, essendo presenti non senza misterio la Speranza e la Castità. Nel quarto et ultimo dei detti luoghi è un S. Francesco pur glorificato, vestito con una tonicella bianca da diacono, e come trionfante in cielo in mezzo a una multitudine d’Angeli che intorno gli fanno coro, con uno stendardo nel quale è una croce con sette stelle, e in alto è lo Spirito Santo. Dentro a ciascuno di questi angoli sono alcune parole latine che dichiarano le storie. Similmente oltre i detti quattro angoli, sono nelle facciate dalle bande pitture bellissime e da essere veramente tenute in pregio, sì per la perfezzione che si vede in loro, e sì per essere state con tanta diligenza lavorate, che si sono insino a oggi conservate fresche. In queste storie è il ritratto d’esso Giotto molto ben fatto, e sopra la porta della sagrestia è di mano del medesimo pur a fresco un S. Francesco che riceve le stimate, tanto affettuoso e divoto, che a me pare la più eccellente pittura che Giotto facesse in quell’opere, che sono tutte veramente belle e lodevoli. Finito dunque che ebbe per ultimo il detto S. Francesco, se ne tornò a Firenze, dove giunto dipinse per mandare a Pisa in una tavola un S. Francesco ne l’orribile sasso della Vernia, con straordinaria diligenza: perchè oltre a certi paesi pieni di alberi e di scogli, che fu cosa nuova in que’ tempi, si vede nell’attitudini di S. Francesco, che con molta prontezza riceve ginocchioni le stimate, un ardentissimo desiderio di riceverle et infinito amore verso Gesù Cristo, che in aria circondato di Serafini gliele concede, con sì vivi affetti, che meglio non è possibile immaginarsi. Nel disotto poi della medesima tavola, sono tre storie della vita del medesimo, molto belle. Questa tavola, la quale oggi si vede in S. Francesco di Pisa in un pilastro accanto all’altar maggiore, tenuta in molta venerazione per memoria di tanto uomo, fu cagione che i Pisani, essendosi finita appunto la fabbrica di Camposanto, secondo il disegno di Giovanni di Nicola Pisano, come si disse di sopra, diedero a dipignere a Giotto parte delle facciate di dentro, acciò che, come tanta fabrica era tutta di fuori incrostata di marmi e d’intagli fatti con grandissima spesa, coperto di piombo il tetto, e dentro piena di pile e sepolture antiche, state de’ Gentili e recate in quella città di varie parti del mondo, così fusse ornata dentro nelle facciate di nobilissime pitture. Perciò, dunque, andato Giotto a Pisa, fece nel principio d’una facciata di quel Camposanto sei storie grandi in fresco del pazientissimo Iobbe; e perchè giudiziosamente considerò che i marmi da quella parte della fabrica dove aveva a lavorare erano volti verso la marina, e che tutti essendo saligni per gli scilocchi, sempre sono umidi e gettano una certa salsedine, sì come i mattoni di Pisa fanno per lo più, e che perciò acciecano e si mangiano i colori e le pitture; fece fare, perchè si conservasse quanto potesse il più l’opera sua, per tutto dove voleva lavorare in fresco, in arricciato o vero intonaco o incrostatura che vogliam dire, con calcina, gesso e matton pesto mescolati così a proposito, che le pitture che egli poi sopra vi fece, si sono insino a questo giorno conservate. E meglio, starebbono, se la stracurataggine di chi ne doveva aver cura non l’avesse lasciate molto offendere dall’umido; perchè