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218 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


tutte l’altre azzioni di quel Santo in fino alla decollazione; dopo la quale è portata l’anima in cielo; et in ultimo quando sono portate d’Alessandria a Pisa l’ossa e le reliquie di San Petito; la quale tutta opera per colorito e per invenzione è la più bella, la più finita e la meglio condotta che facesse Spinello; la qual cosa da questo si può conoscere che, essendosi benissimo conservata, fa oggi la sua freschezza maravigliare chiunche la vede. Finita quest’opera in Camposanto, dipinse in una capella in San Francesco, che è la seconda allato alla maggiore, molte storie di San Bartolomeo, di Santo Andrea, di San Iacopo e di San Giovanni Apostoli, e forse sarebbe stato più lungamente a lavorare in Pisa, perchè in quella città erano le sue opere conosciute e guiderdonate, ma vedendo la città tutta sollevata e sotto sopra, per essere stato dai Lanfranchi, cittadini pisani, morto Messer Piero Gambacorti, di nuovo con tutta la famiglia, essendo già vecchio, se ne ritornò a Fiorenza, dove in un anno che vi stette e non più, fece in Santa Croce alla capella de’ Machiavelli intitolata a S. Filippo e Iacopo, molte storie d’essi Santi e della vita e morte loro. E la tavola della detta capella, perchè era desideroso di tornarsene in Arezzo sua patria o per dir meglio da esso tenuta per patria, lavorò in Arezzo, e di là la mandò finita l’anno 1400. Tornatosene dunque là d’età d’anni settantasette o più, fu dai parenti et amici ricevuto amorevolmente, e poi sempre carezzato et onorato insino alla fine di sua vita, che fu l’anno 92 di sua età. E se bene era molto vecchio, quando tornò in Arezzo, avendo buone facultà, arebbe potuto fare senza lavorare, ma non sapendo egli, come quello che a lavorare sempre era avezzo, starsi in riposo, prese a fare alla Compagnia di Santo Agnolo in quella città alcune storie di San Michele, le quali in su lo intonacato del muro disegnate di rossaccio, così alla grossa, come gl’artefici vecchi usavano di fare il più delle volte, in un cantone, per mostra ne lavorò e colorì interamente una storia sola, che piacque assai. Convenutosi poi del prezzo con chi ne aveva la cura, finì tutta la facciata dell’altar maggiore; nella quale figurò Lucifero porre la sedia sua in Aquilone, e vi fece la rovina degl’Angeli, i quali in diavoli si tramutano piovendo in terra; dove si vede in aria un S. Michele che combatte con l’antico serpente di sette teste e di dieci corna, e da basso nel centro un Lucifero già mutato in bestia bruttissima. E si compiacque tanto Spinello di farlo orribile e contraffatto, che si dice (tanto può alcuna fiata l’immaginazione) che la detta figura da lui dipinta gl’apparve in sogno domandandolo dove egli l’avesse veduta sì brutta e perchè fattole tale scorno con i suoi pennelli, e che egli, svegliatosi dal sonno, per la paura non potendo gridare, con tremito grandissimo si scosse di maniera che la moglie destatasi lo soccorse; ma nientedimanco fu per ciò a rischio, strignendogli il cuore, di morirsi per cotale accidente subitamente. Benchè ad ogni modo spiritaticcio e con occhi tondi poco tempo vivendo poi, si condusse alla morte lasciando di sè gran desiderio agl’amici, et al mondo due figliuoli: l’uno fu Forzore orefice, che in Fiorenza mirabilmente lavorò di niello, e l’altro Parri, che imitando il padre di continuo attese alla pittura e nel disegno di gran lunga lo trapassò. Dolse molto agl’Aretini così sinistro caso con tutto che Spinello fusse vecchio, rimanendo privati d’una virtù e d’una bontà quale era la sua. Morì d’età d’anni novanta dua et in Santo Agostino d’Arezzo gli fu dato sepoltura, dove ancora oggi si vede una lapida con